Unità: Chi difende la ricerca, aiuta la politica
Non c’è alcuna forte domanda individuale (o di somme individuali) immediata e cognitivamente urgente da parte dei cittadini in questo ambito.Eppure il beneficio che ne potrebbe venire allo sviluppo organico della società sarebbe evidentemente e senza tema di smentita il più straordinario.
Cosa mette in crisi il rapporto tra cittadini ed autorità politiche? L’interessante analisi di Navarro-Valls affidata a la Repubblica del 1 ottobre sui rapporti tra autorità e cittadini affronta il tema da molti punti di vista: la difficoltà per i cittadini di svolgere un ruolo attivo nella vita delle istituzioni, la crescente rappresentazione di un ceto politico che gestisce d’autorità il potere piuttosto che realmente possessore di autorevolezza, la percezione da parte dell’opinione pubblica di politici che vivono di politica piuttosto che per la politica. In sintesi, un insieme di cause determinanti la rottura della relazione di fiducia.
Pur considerando valida l’analisi alla base del ragionamento di Valls, ritengo tuttavia che in essa manchi una valutazione piena di alcune altre cause che determinano di fatto la degenerazione del rapporto di fiducia.
Il punto da cui partire non può soltanto riguardare l’interrogativo: stanno i politici attuali tradendo il rapporto classico di fiducia tra cittadini e loro rappresentanti nelle istituzioni? Ma aggiuntivamente (e in alcuni casi addirittura sostitutivamente) dovremmo anche riflettere su: le ragioni e gli obiettivi alla base del rapporto di fiducia sono corrette, condivise e non ambigue?
In altre parole: rispetto a cosa i cittadini si fidano (o non si fidano) dei politici? La questione sembra banale e la risposta canonica non può che essere: al bene della cosa pubblica.
Purtroppo attorno al concetto di “cosa pubblica” e di pubbliche autorità intitolate a tutelarne interessi e finalità, in periodo di antipolitica le interpretazioni si moltiplicano e le ambiguità crescono. Un caso per tutti: la scontata certezza con cui Grillo continui a sostenere che i politici (eletti nelle istituzioni pubbliche) debbano essere considerati dei “dipendenti” dei cittadini elettori, in un senso che lui considera ovviamente strettissimo (da cui ne può conseguire un licenziamento “in tronco”). Sfugge alla logica della “dipendenza” introdotta (non solo) da Grillo la questione fondamentale: l’eletto deve anzitutto tutelare il bene pubblico e ha il diritto e il dovere di farlo eventualmente anche in contrapposizione con gli interessi di chi individualmente lo ha eletto.
Una democrazia tanto più si realizza quanto più viene meno questo vincolo forte tra interessi individuali dell’elettore e interessi generali tutelati dall’eletto. «Senza vincolo di mandato»: così si recita nella nostra Carta Costituzionale a proposito della funzione del parlamentare. L’esatto opposto della dipendenza di natura privatistica: “vai e fai quanto ti dico”.
Sulla giusta obiezione di un malinteso senso di cosa pubblica da parte dei soli politici l’analisi è già nell’articolo di Navarro-Valls, qui si prova a valutare altri e non meno (a mio modesto avviso) marginali aspetti.
L’interesse pubblico non necessariamente corrisponde con la somma degli interessi particolari. E tanto più la richiesta alla politica (e spesso purtroppo anche le sue risposte/promesse) si concentra(no) sugli obiettivi particolari ed immediati, tanto più si rischia di tradurre l’interesse di una società in una somma cristallizzata e separata di bisogni individuali cui è difficile (se non impossibile) dare risposta esaustiva. Contemporaneamente si perde il senso di crescita organica e di sviluppo complessivo della società che rappresenta l’unico asse realmente strategico sul quale proiettare un gruppo sociale nel futuro con speranze di avanzamento concreto. Lo sforzo di composizione di interessi è un fatto fondamentale della politica, ma a volte la sintesi è ad un livello non direttamente rispondente alle attese specifiche. E quanto le società sono più complesse tanto più spesso questo accade.
Un esempio è l’investimento che una società intende concentrare sul settore avanzamento della conoscenza, tanto nel senso di maggiori risorse per l’alta formazione e per un suo concreto sviluppo, quanto per l’investimento di capitali sulla cultura, le scienze e le sue frontiere.
Non c’è alcuna forte domanda individuale (o di somme individuali) immediata e cognitivamente urgente da parte dei cittadini in questo ambito (se si escludono gli operatori del settore: ricercatori, professori, tecnici: pochi, spesso in conflitto tra loro e in genere incapaci di organizzare una qualche significativa rivendicazione).
Eppure il beneficio che ne potrebbe venire allo sviluppo organico della società sarebbe evidentemente e senza tema di smentita il più straordinario. Con vantaggi enormi sul progresso della qualità dello sviluppo, dell’economia e persino della convivenza sociale. Non è un caso che l’Europa, nei suoi massimi organismi strategici abbia indicato il settore conoscenza come la principale chiave di volta per il successo delle sorti di questo continente. Ma tali considerazioni restano relegate ai convegni per gli esperti, o al massimo a marginali discussioni in talk-show di tarda serata.
Scompaiono invece dai tavoli della discussione politica nei tempi delle urgenti decisioni e dei grandi piani di investimento. Anche perché i mezzi d’informazione mediano sempre più il rapporto tra decisore politico e domanda dei cittadini, cortocircuitando pericolosamente le camere di compensazione e di elaborazione che la società nel tempo aveva sviluppato e consolidato.
L’eredità più pesante nella cultura socio-politica degli ultimi anni riguarda la superficiale sopravalutazione dell’interesse individuale anche (e spesso volutamente) a scapito dell’interesse collettivo. Occorre ricominciare a riflettere (e non solo in via teorica) sul senso straordinariamente rivoluzionario di "Cosa Pubblica" e di "Stato" (soprattutto per l’affermazione, ad un più alto livello e spesso con benefici ancora maggiori, degli obiettivi individuali), recuperarne il valore e aggiornarne le modalità interpretative. Dietro l’antipolitica (spesso provocata dagli stessi politici) si annidano insidie per tutti e in particolare per quelli socialmente, culturalmente ed economicamente meno attrezzati.
Rino Falcone è consigliere
del ministro per l’Università
e la Ricerca sulle questioni attinenti la ricerca scientifica