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Unità: Cgil, Cisl e Uil: «La Costituzione non si cancella»

Le tre confederazioni schierate per il No. Epifani: «Solo dopo si potranno fare le riforme»

16/06/2006
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l'Unità

di Bruno Ugolini

Non si trovano molti manifesti, nelle strade e nelle piazze d'Italia, dedicati al prossimo referendum del 25 e 26 giugno. Uno però campeggia ovunque: quello firmato dalle tre Confederazioni sindacali. Il titolo è esplicito: "La Costituzione non si cancella". Una scelta sottolineata con orgoglio da Guglielmo Epifani nella conferenza stampa convocata appunto per illustrare quest'iniziativa, intrecciata ad altre inerenti la lotta all'evasione fiscale e contributiva. C'è, a monte della scesa in campo sindacale, la constatazione di un diffuso silenzio, di una scarsa mobilitazione, come se ci fosse un addormentamento delle coscienze e delle intelligenze. Come se si ignorasse la posta in gioco. Ecco il perché delle manifestazioni promosse in questi giorni in tante località del Paese. Segnaliamo, tra le altre, quella annunciata a Palermo il 23 giugno, organizzata dai coordinamenti donne di Cgil Cisl e Uil siciliane con la presenza del ministro per le politiche della famiglia, Rosy Bindi.

Così le Confederazioni riaffermano come irrinunciabile "il valore dell'unità nazionale fondata sui principi dell'uguaglianza e della solidarietà tra tutti i cittadini". Raffaele Bonanni, il segretario generale della Cisl, spiega che non è una scelta in qualche modo politica, per favorire l'uno o l'altro schieramento. E' dettata dalla convinzione che siano in gioco problemi "sindacali", interessi collegati al mondo del lavoro. E infatti nel suddetto manifesto sta anche scritto che lo scopo è "difendere i diritti, la contrattazione, la partecipazione sociale".

Questo orientamento non significa chiudere le porte ad ogni intervento sulla Costituzione. Anche in questo caso i sindacati non intendono passare come i soliti "signor no". Così Epifani sostiene come solo dopo la vittoria dei "no" sarà possibile un'"intelligente manutenzione riformatrice". Mentre Luigi Angeletti osserva che se vincessero i "si" non si aprirebbe alcun spazio per correggere le cose che non vanno nella riforma varata dal centrodestra e che oggi suscitano critiche all'interno stesso del centrodestra. Insomma solo votando "no" si potranno poi avere dei "si" ragionevoli.

Sono molti gli aspetti della riforma che Cgil, Cisl e Uil criticano pesantemente. Raffaele Bonanni, ad esempio, si sofferma su quei poteri maggiori assegnati alla figura del "premier". Poteri che non aumenterebbero la "governabilità" e che aumenterebbero quella tendenza al "cesarismo" che finisce col soffocare la linfa democratica della partecipazione dei cittadini.

Altri rischi (precisati nel documento unitario) se passasse il "si", sono quelli inerenti la messa in atto di sperequazioni territoriali nel godimento di diritti fondamentali. Non solo: la cosiddetta devolution potrebbe compromettere un tema assai caro ai sindacati: l'unitarietà del contratto nazionale "per le categorie dei settori interessati dal trasferimento delle competenze esclusive alle regioni". Altri esiti nefasti per il Paese riguardano (nell'assenza di federalismo fiscale) il fatto che solo alcune regioni, le più ricche, finirebbero col poter esercitare le competenze e garantire i servizi. C'è poi la questione del cosiddetto Senato federale con un consistente appesantimento del processo di formazione delle leggi, l'aumento del contenzioso, la forte politicizzazione degli organi di garanzia costituzionale.

Sono, in sintesi, le ragioni che portano al "no" sindacale. La riforma del centrodestra, conclude il documento, "rappresenta il culmine della progressiva messa in crisi della democrazia partecipativa nell'azione di governo nella scorsa legislatura". C'è, insomma, un collegamento con quanto si è fatto per seppellire la concertazione, per rimuovere la politica dei redditi, per colpire la contrattazione. Per colpire il sindacato in modo autoritario. Non bisogna farla passare.


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