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Unità-Cervelli in fuga visti dall'Italia

RICERCA DEL CNR Emigrazione e immigrazione dei ricercatori Cervelli in fuga visti dall'Italia di Federico Ungaro Fuga dei cervelli o semplice mobilità dei ricercatori? È a questo...

30/05/2005
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l'Unità

RICERCA DEL CNR Emigrazione e immigrazione dei ricercatori

Cervelli in fuga visti dall'Italia

di Federico Ungaro

Fuga dei cervelli o semplice mobilità dei ricercatori? È a questo dilemma, gravido di conseguenze soprattutto sul piano pratico, che un progetto europeo coordinato da Carolina Brandi e Sveva Avveduto del Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr) ha cercato di dare risposta. E la risposta, sotto forma di un numero della rivista Studi Emigrazione, è molto chiara: non si tratta di semplice mobilità internazionale, i ricercatori se ne vanno perché sono attratti da migliori possibilità di fare il proprio lavoro all'estero e ben difficilmente pianificano di tornare nel paese che hanno lasciato.
Secondo i dati presentati lo scorsa settimana ad un incontro al Cnr, il paese preferito dai ricercatori in fuga sono gli Usa con circa 360mila arrivi nel 2003. Circa un terzo di questi ricercatori arriva dai paesi europei e in particolare da cinque Stati: Regno Unito, Germania Francia e Italia e Spagna.
"Emerge anche un dato interessante: dopo l'11 settembre del 2001, c'è stato un certo calo nel numero di arrivi, ma questo calo si è concentrato su quei paesi considerati a rischio terrorismo. E questo ha aperto ancora di più le porte ai ricercatori degli altri paesi occidentali", dice Sveva Avveduto, che insieme alla collega Brandi, lavora all'Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali. "Ci siamo chiesti perché questi ricercatori se ne vanno dai loro paesi e abbiamo cercato di dare una risposta, intervistando quelli che dall'estero erano venuti a lavorare da noi", aggiunge Carolina Brandi. "A spingerli all'estero erano soprattutto due fattori: la possibilità di avere contatti con altri ambienti di ricerca e la possibilità di specializzasi in un settore non sviluppato - continua la ricercatrice -. Invece ad attirarli verso l'Italia erano altri elementi e cioè le opportunità di studio e ricerca in Italia e l'invito di una istituzione scientifica italiana".
Quali conclusioni trarre da questi dati? "Pensiamo che i ricercatori siano spinti a emigrare, una volta assicurato un adeguato livello salariale, soprattutto dalle opportunità che le istituzioni straniere offrono di svolgere in modo proficuo il loro lavoro, piuttosto che dal fatto di migliorare le proprie possibilità di carriera", conclude Brandi.
"L'importanza di questi dati - commenta Giovanni Garofalo, professore di diritto del lavoro all'Università di Bari - è che offrono per la prima volta al legislatore la possibilità di affrontare il problema su una base il più possibile oggettiva". Secondo Garofalo è chiaro che non si può sperare di risalire la china senza investire nel settore della ricerca e dell'istruzione universitaria. Ed è altrettanto chiaro che si deve favorire l'ingresso di personale straniero specializzato proveniente da paesi extraeuropei, modificando l'attuale legge sull'immigrazione. "La legge ha portato ad alcuni paradossi tra cui il fatto che molti professori e ricercatori stranieri non possono entrare in Italia perché le quote di immigrazione sono esaurite".
Forse però il commento più azzeccato alla situazione del nostro paese è quello di Giovanni Paoloni dell'Università della Tuscia, che cita Guglielmo Marconi: "Marconi diceva che la ricerca non è cosa da paesi ricchi, ma che i paesi ricchi sono tali grazie alla ricerca. Forse dovremmo iniziare a prendere sul serio quanto diceva"


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