Unità: Cancellati dal governo. Noi, senza diritti dietro una cattedra
L’intervento di questa insegnante di Napoli è il manifesto dei precari della scuola (e non solo). «Mi chiedo dov’è lo lo Stato quando tra i banchi devi battere pure la camorra»
EMILIA STANZIONE
Questo è quasi uno sfogo, vorrei che qualcuno si occupasse di più di noi precari della scuola e della nostra crisi, visto che ormai pochi ne parlano, nessuno ha ascoltato le nostre proteste, siamo stati lasciti soli. Da settembre ci ritroveremo senza un lavoro. Nessuno dice che prossimamente i nostri deputati approveranno una legge che annullerà un percorso di studi di anni. Molti docenti che come me hanno superato il test di ammissione alla SIS e sostenuto esami, effettuato tirocini formativi, si vedranno annullato tutto questo e dovranno ripartire da zero. Questo governo ha deciso di operare una riforma della scuola che penalizza soprattutto il Sud ,la Campania infatti è la regione dove ci saranno i tagli maggiori. Lo slogan dei precari è ormai diventato la poesia Soldati di Ungaretti. Siamo stati spazzati via come foglie secche con un decreto legge. Chi è al potere non ci considera persone, ma numeri di un bilancio da tagliare. Essere precari significa aspettare ogni anno la nomina dal CSA. Essere precari significa avere paura di venire truffati dai soliti furbi che acquistano i punti per poter ottenere una cattedra. Il precario quando viene stilato l’orario scolastico ottiene sempre un trattamento speciale, a lui le classi peggiori, a lui le ultime ore, a lui tutte le sostituzioni. Essere precari significa non avere voce, non avere diritto a formarsi una famiglia. Essere precari significa guadagnare meno. Essere precari stanca, fa male, fa rabbia, si ha voglia di gridare, di piangere quando per poche posizioni non riesci a ritornare dagli allievi dell’anno precedente. Il precario cambia puntualmente scuola ogni anno, e ogni anno viene considerato precario da un nuovo preside, dai nuovi colleghi e dai genitori degli alunni. Essere precario è difficile, rischioso per la propria stessa vita in alcune zone di Napoli. Essere insegnanti non è facile quando si ci deve relazionare con ragazzi «difficili». Il nostro Presidente del Consiglio si è impegnato in prima persona per eliminare la spazzatura da Napoli, vorrei che dedicasse altrettanto impegno per la scuola napoletana affinché essa funzioni meglio, per eliminarne la spazzatura morale. Il decreto legge ha messo le mani sul futuro dei docenti di tutti i cittadini italiani ma ancor più sul futuro dei ragazzi del sud. Essere insegnante a Napoli è difficile, se finisci nella scuola sbagliata, non puoi contare su niente. Dov’è lo Stato? Cosa fa per le scuole delle zone a rischio? Insegnare in una zona a rischio significa trovarsi in classi allievi che non possono acquistare i libri perché non hanno i soldi, combattere con la prepotenza di bambini a cui è stata rubata l’infanzia che conoscono solo il linguaggio della violenza. Insegnare a Napoli significa convocare a scuola genitori che offrono manovalanza alla camorra.
Cosa direbbe Don Milani della legge Gelmini, il quale affermava che lo scopo della scuola è: «Chinarsi su chi ha avuto di meno dalla vita per dargli di più». La risposta è ovvia: «La scuola di oggi si comporta come quello strano individuo che invita qualcuno a casa per pranzo nella consapevolezza che non accetterà mai l’invito». Il Ministro ignora troppe cose e non conoscendo la realtà scolastica crea solo danni. Nonostante le difficoltà amo il mio lavoro, ho pianto perché quest’anno ho cambiato scuola e non ho potuto ritrovare i miei vecchi alunni. I loro occhioni tristi mi perseguitano, mi resteranno nel cuore. Coloro che lavorano nelle scuole non sono solo fannulloni, che non hanno mai sostenuto un concorso. Questa docente precaria ha superato il concorso Sis, ha sostenuto esami, ha pagato tasse universitarie elevate, benché figlia di operaio che ha perso il lavoro. Io non sono stata fortunata, come il Ministro Brunetta che insegna all’Università pur essendo di umili origini. La dura realtà è questa, l’ho imparata a mie spese nella nostra Italia non è il merito ripagare dei sacrifici fatti forse un buon cognome, una conoscenza importante o una buona raccomandazione.