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Unità: «Babele di riforme e insulti ecco i veri mali dell’Università»

Non solo baroni La demonizzazione degli Atenei? Parliamo anche del taglio cronico delle risorse Governi e imprese in Italia non hanno cultura di innovazione. Ed ecco perché i cervelli fuggono

31/05/2009
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l'Unità

Non solo baroni La demonizzazione degli Atenei? Parliamo anche del taglio cronico delle risorse

Governi e imprese in Italia non hanno cultura di innovazione. Ed ecco perché i cervelli fuggono Parentopoli, ricerca bistrattata e pochi studenti con il titolo di dottore. Tutti addosso all’Università pubblica. È davvero la grande malata? «È convalescente ma questo governo la sta uccidendo - sottolinea Massimiliano Fiorucci, 41 anni, professore associato di pedagogia generale e sociale a Roma Tre -. L’opposizione e il Pd dovrebbero farsi sentire di più».

Di quali veri mali soffre l’Università italiana?

«La demonizzazione degli Atenei, innazitutto. Parlare solo di baroni e parentopoli, che pure ci sono, è riduttivo. C’è il problema grosso delle risorse. Poi lo scarso spazio ai giovani ricercatori, non c’è ricambio. Si fa tanta retorica sulla centralità della formazione, della ricerca, dell’innovazione: da vent’anni a questa parte però i governi, anche di centrosinistra, hanno ridotto le risorse. Anche per la ricerca di base, che pur non avendo un immediato ritorno in campo produttivo genera nuove idee».

Come andrebbe affrontata la questione?

«Avendo un’idea di società e di università. C’è una frammentazione dei saperi. È vero che c’è una proliferazione dei corsi di laurea. In Italia abbiamo livelli bassi di istruzione nella popolazione attiva. Siamo il paese con il minor numero di laureati. Ma soprattutto c’è una scarsa disponibilità delle imprese ad assumere i laureati, perché costano di più e andrebbero pagati meglio».

Negli anni si sono susseguite riforme su riforme. Spesso solo raccontate e mai fatte.

«L’organizzazione universitaria è fortemente stressata dai continui cambiamenti. Più che dedicarsi all’attività della didattica e alla ricerca ci si arrovella sull’applicazione delle nuove norme. E c’è di peggio, negli anni anche il linguaggio ha subito profonde trasformazioni: sono stati adottate logiche di mercato ad un settore come l’università pubblica che non ha finalità aziendale: termini come crediti, debiti formativi. Dovremmo invece garantire Università di massa e qualificata».

E come?

«Utilizzando parametri di valutazione che non siano solo l’efficacia e l’efficienza. La valutazione deve essere un strumento per contribuire al miglioramento, non uno strumento di punizione. Occorre inoltre puntare sull’internazionalizzazione: ci sono pochissimi studenti e ricercatori europei e mancano le struttture per la loro accoglienza».

Il Pd ha sbagliato strategia sull’università?

«Nel programma dell’Ulivo alle ultime politiche c’erano elementi interessanti: la costruzione di un sistema di valutazione, si prevedeva lo stanziamento di risorse ingenti e la correzione della riforma del 3+2. Ma la politica si sa, è fatta di annunci. Ricordo che proprio sotto il governo di centrosinistra, per risolvere lo sciopero degli autotrasportatori, si è intevenuti pesantemente sulle risorse stanziate per l’Università e la ricerca».

Rimpiageremo Berlinguer e Mussi o la Gelmini?

«La Gelmini non va bene per niente. I fondi sono stati ridotti in modo consistente. Non abbiamo possibilità di assumere professori. Se uno va in pensione ne possiamo assumere appena mezzo. Praticamente nessuno».

Cosa vorrebbe che il Pd facesse per l’Università? E di cosa invece è rimasto deluso?

«Vorrei che il Partito democratico facesse un progetto di riforma ascoltando le componenti universitarie. Dialogo e confronto: non riforme illuminate dall’alto. Vorrei che puntasse sull’università pubblica, il dottorato di ricerca e l’internazionalizzazione e i giovani ricercatori».

Ha senso trasformare gli Atenei in soggetti di diritto privato come vuole fare il governo?

«Trasformare gli Atenei in fondazioni è pericolosissimo. Avrebbero risorse solo quelli collegati con il mondo della produzione. Se una casa automobilistica avesse interesse a sviluppare ricerche su nuovi motori, finanzierebbe le facoltà di Ingegneria. Potrebbero sparire le umanistiche».

Che tipo di opposizione sarebbe efficace?

«Quella che si batte per la laicità dell’università pubblica. A volte invece ci sono prese di posizione ambivalenti. La vera questione è questa: l’Università come tempio del sapere critico, dove gli studenti, i ricercatori e i docenti possano coltivare interessi e proporre una nuova idea di società e modelli di sviluppo».


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