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Unità: Attacco al lavoro, a pezzi il protocollo Welfare

Via la legge contro le dimissioni in bianco, torna il lavoro a chiamata, deroghe ai contratti

19/06/2008
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l'Unità

di Felicia Masocco/ Roma

PICCONATE Lo smantellamento è cominciato, il governo di destra riprende da dove aveva lasciato e riscrive le norme sul lavoro precario che il governo Prodi aveva cancellato o mitigato. Torna il lavoro a chiamata, abolito dal protocollo sul Welfare siglato
con le parti sociali. Si riscrivono causali e durata dei contratti a termine. Si spiana la via alla flessibilità d’orario e a deroghe insidiosissime al contratto nazionale fino a prevedere accordi individuali. Si riscrive anche la norma sulle dimissioni in bianco, quel licenziamento mascherato che incombe soprattutto sulle donne in età fertile.
Sono solo alcune delle norme contenute nel pacchetto-lavoro preparato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi che faranno parte della manovra triennale approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Dopo un turbinio di annunci, il ministro ha dunque messo nero su bianco il suo pensiero. Il titolo del pacchetto sfiora la poesia: «Liberare il lavoro», viene scritto. Peccato che i lavoratori saranno un po’ meno liberi. Due gli obiettivi: «incoraggiare le imprese ad assumere» e «agevolare la regolarizzazione di quei rapporti di lavoro che oggi sono quasi tutti al nero».
La parola d’ordine è deregulation, anzi, nella nota diffusa dal ministero viene scritta in italiano «de-regolazione della gestione dei rapporti di lavoro». Altra parola ripetuta è «semplificazione»: è bella, a chi piacciono le cose complicate? Non alle lavoratrici che, con il lavoro, vorrebbero anche una tutela della maternità ma che spesso sono costrette a firmare dimissioni in bianco. Il centrosinistra aveva arginato la prassi prevedendo che le dimissioni volontarie debbano essere firmate solo su un modulo del ministero del Lavoro contrassegnato da numeri progressivi. Sacconi vuole «semplificare» e scrive: «abrogazione dell’obbligo delle dimissioni volontarie su modulo del ministero del Lavoro». Si colpisce il «modulo» per colpire il divieto.
Un colpo al protocollo sul Welfare (che, tra l’altro, è stato votato da 5 milioni di lavoratori) viene dato quando si parla di contratti a termine. Si parla di «semplificare», le causali, e si prevede la «possibilità di deroga dei vincoli vigenti». Cioè la durata e il diritto di precedenza del lavoratore a termine in caso di assunzione a tempo indeterminato. Si rinvia ad «accordi tra le parti sociali». «Le parti sociali, imprese e sindacati, si sono già accordate - spiega Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil -. Abbiamo già fissato il tetto massimo in 36 mesi e la durata dell’unica deroga prevista a 44 mesi. Altro non serve». In realtà «si vogliono introdurre deroghe al contratto nazionale». «Sono contrario e preoccupato. È chiara la volontà di colpire il protocollo sul Welfare - continua Fammoni -, chi l’ha firmato dovrebbe difenderlo. Siamo di fronte a scelte sbagliate che abbassano i diritti e danno il solito messaggio per cui si può competere utilizzando solo la leva del costo del lavoro». Viene prevista anche una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, «semplificando» nell’ambito dei limiti disposti dalle direttive europee. Le quali prevedono deroghe aziendali ai contratti nazionali, e deroghe «individuali». Si punta inoltre a modificare la norma sui riposi settimanali (oggi maturano ogni 7 giorni, si calcoleranno su 14) per un maggiore utilizzo degli impianti. Cadono alcuni vincoli sull’apprendistato; torna - esteso- il lavoro occasionale; torna il job on call, il lavoro a chiamata previsto dalla legge 30 che il centrosinistra aveva lasciato solo per il commercio e il turismo.
Da registrare, in proposito, la reazione dei leader di Cisl e Uil. «Non mi straccerò le vesti per il ripristino di norme cancellate non per l’accordo delle parti ma per iniziativa unilaterale del governo Prodi», ha detto Raffaele Bonanni. «Il job on call riguarda un centinaio di persone. Non me ne è fregato nulla quando lo hanno tolto, non mi frega se lo rimettono». Così Luigi Angeletti.


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