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Unità-A scuola come a casa propria

A scuola come a casa propria PIERFRANCESCO ROSSI La vicenda dell'allagamento del liceo Parini è diventata - come era giusto che fosse - uno scandalo nazionale. Io ho quattordici anni e pro...

26/10/2004
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l'Unità

A scuola come a casa propria

PIERFRANCESCO ROSSI

La vicenda dell'allagamento del liceo Parini è diventata - come era giusto che fosse - uno scandalo nazionale. Io ho quattordici anni e provo, come tanti miei compagni, un grande rispetto per il liceo-ginnasio che frequento, ma, anche prima del "fattaccio", mi era capitato di osservare che, in generale, c'è tra i miei coetanei un atteggiamento poco rispettoso verso la propria scuola.
I cinque studenti che hanno reso inagibile il più prestigioso liceo milanese hanno confessato di aver fatto ciò che hanno fatto per far saltare la versione di greco, ma io credo che, alla base, ci sia altro. Infatti, vivendo tutti i giorni a contatto con una realtà infestata da tanti possibili "allagatori", mi rendo conto che i ragazzi hanno sempre meno riguardo per la propria scuola per motivi molto più complessi e sottili della normale - e sana - paura del compito di greco.
La scuola è sempre stata, e spero che lo rimanga per tanto tempo ancora, il luogo più importante dove gli adolescenti si incontrano quotidianamente, fanno amicizia e si scambiano opinioni. È inevitabile, perciò, che diventi un posto estremamente familiare. Ma ci sono anche i professori che pretendono tanto, il preside severo, gli obblighi da rispettare&, tutte cose che, a parecchi, danno quel sapore di doverosità ed estraneità che a casa propria non c'è.
A casa, neanche il più incallito dei teppisti si sarebbe mai permesso di tappare i rubinetti e di farsi una bella piscina coperta, e questo per due motivi: ne sarebbe andata di mezzo anche la propria "cameretta" e la mamma avrebbe fatto sentire voce e randello. Anche per bravate meno gravi dell'allagamento, insomma, a casa ci sarebbe stata una giusta punizione o una sana sgridata.
Ma a scuola, spesso, queste cose mancano, come manca un vero coinvolgimento dei ragazzi che faccia loro sentire la scuola come "casa propria".
Me ne accorgo in classe, o per i corridoi, o nel bagno: i muri sono pieni di scritte, spesso volgari, talvolta romantiche, ma pur sempre non permesse. Ma tutto tace. E quando si esce dal bagno un tanfo da zona industriale impregna i vestiti e i capelli: non si può fumare, ma lo fanno tutti e tutti lo sanno e tutto viene preso alla leggera. Ormai tra i ragazzi regna l'idea che ogni cosa possa restare impunita. E così, anche per ragazzi che si definiscono "normali", come gli inzuppatori del liceo, l'idea di fare una bravata coincide col pensiero di una marea di risate con i compagni, una tirata d'orecchie del bidello che però è simpatico e ci capisce, e poi passa tutto. Ci si scorda in fretta di una ragazzata!
Se il Parini fosse dovuto rimanere chiuso solo per poche ore, se magari solo pochi centimetri d'acqua avessero bagnato i pavimenti - come nei piani dei cinque ragazzi - la versione di greco sarebbe stata rinviata, e probabilmente si sarebbe ripetuta la divertente bravata perché il compito venisse rimandato ancora. Non si sarebbe mai conosciuta la mano che di notte aveva aperto i rubinetti e, in fin dei conti, non se ne sarebbe neanche parlato tanto, perché tutti avrebbero pensato a qualche isolato vandalo esterno al liceo. Fatti del genere succedono da decenni. Ho scoperto che, parecchi anni fa, perfino il mio liceo, ad Avellino, fu allagato, con lo stesso sistema ma meno gravemente. Allora, mi dicono, nessuno ha mai saputo di chi fu la colpa. Tutto ciò mi porta a pensare che, forse, è stata una fortuna per tutti che il fatto accaduto al Parini sia sfuggito di mano ai suoi ideatori: l'avremo capito, finalmente, che anche la minima ragazzata va presa sul serio, e non solo dal punto di vista della repressione?
È probabile, chissà, che in questo caso il motivo principale sia stata veramente la paura della versione, ma di certo non si può immaginare di evitare tali abnormi reazioni eliminando il compito in classe! Nonostante il presidente dell'Associazione Nazionale Presidi, Prof. Rembado, dimostrando tutta la sua arguzia, abbia affermato che "quella per il compito in classe è davvero una paura anacronistica e senza fondamento", io continuo a credere che un po' di timore sia sano e necessario e che possa solo portare a studiare con più impegno e con la consapevolezza che tutto ciò non può che far bene. E molti ragazzi l'hanno capito. Un ragazzo "normale" non avrebbe mai sfondato le porte della scuola, non avrebbe neanche pensato di allagarla. I pochi, spero pochi, teppistelli in giro vanno certo controllati e anche puniti, se necessario, ma gli altri meritano - è banale dirlo? - una scuola decisamente migliore di quella di oggi.
Se la scuola, un giorno, riuscisse a meritarsi l'appellativo di "seconda casa" dei ragazzi, mi piace pensare che anche quelli che, oggi, non la frequentano volentieri, comincerebbero a vederla con occhi più aperti e desiderosi di scoprire.


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