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Una storia senza tagli

La missione possibile di studiare tutto il 900

28/08/2017
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la Repubblica

Umberto Gentiloni

Sono passati venti anni dal decreto di Luigi Berlinguer ministro della Pubblica istruzione: dedicare l’ultimo anno delle superiori allo studio della storia del Novecento. Basta sfogliare le pagine dei quotidiani di allora per ricostruire polemiche e punti di vista: un’imposizione dall’alto, un gesto coraggioso e necessario, un’innovazione utile a ricostruire il perimetro dei programmi scolastici o sul versante opposto la levata di scudi sui rischi che l’eccessivo concentrarsi sul presente potesse indebolire le radici di processi lontani. Un’indicazione che

non ha piegato le tante resistenze che ne hanno accompagnato il cammino né manifestato tutte le potenzialità che conteneva. Il recente paradosso della discussione abbozzata sull’ipotesi della riduzione di un anno del ciclo scolastico delle superiori appare come l’ennesima occasione persa.

La conoscenza storica soffre la distanza dai quotidiani processi di apprendimento delle generazioni nate nel nuovo tempo del digitale segnate dall’incombenza del presente, dalla forza di un flusso continuo che non prevede coordinate spazio temporali e non ammette altre dimensioni che non siano rapide e immediate a portata di cellulare e di accesso wi-fi. Voci autorevoli hanno declinato la dialettica irrisolta tra opportunità e rischi, tra connessioni tecnologiche e nuove o antiche alienazioni evidenziando i pericoli che il Novecento possa rimanere un segmento sconosciuto e lontano, una sorta di incerto terreno da frequentare con cautela, magari attraverso i tortuosi sentieri della memoria o le emozioni collettive di anniversari più o meno istituzionali. Un confronto di merito non può viaggiare sulla falsa pista di riduzioni di anni o equiparazioni a indefiniti modelli continentali.

Non regge la scorciatoia del rimpianto nostalgico a una scuola più esigente e severa né la lamentela del pessimismo che riaffiora (talvolta come alibi) sui giovani che non studiano volentieri, non si appassionano alle pagine di

Guerra e pace, non sanno scrivere, parlare o approfondire (basti il richiamo alle acute riflessioni di Tullio De Mauro). Molto ricade sulle spalle degli insegnanti (spesso eroi del nostro tempo), sulla loro capacità di interagire, innovare, cercare nuove sintonie con mondi in continuo mutamento. Ma c’è una responsabilità di altro genere che investe chi prende le decisioni o segnala opzioni all’orizzonte senza che il riformismo delle cose possibili abbia lo spazio per essere valutato, confermato o smentito. Non è un caso che la bella traccia dell’ultimo tema di maturità sul miracolo economico abbia interessato circa l’uno per cento degli studenti italiani. Un dopoguerra sconosciuto mentre la centralità del Novecento si rafforza allontanandoci dalla presunta conclusione del secolo breve.

È persino banale indicarne le ricadute selezionando tra piani e competen- ze. 1. Tutti gli indicatori e gli studi sulle modifiche del mercato del lavoro sottolineano la necessità di privilegiare una formazione trasversale, flessibile, interdisciplinare capace di tenere insieme linguaggi e punti di vista. Ne ha scritto qualche giorno fa su queste pagine Alberto Asor Rosa. Una formazione di base non può che valorizzare l’incontro tra musica e fotografia, storia e matematica, fisica e filosofia, scienze e letteratura, storia dell’arte e filologia in un elenco che potrebbe essere molto più ampio. 2. La ricchezza e la complessità degli approcci può contribuire a sconfiggere le paure del nozionismo diffuso, l’idea pervasiva che la conoscenza del passato sia un insieme arido e immobile di date, personaggi, battaglie e confini da custodire nel migliore dei casi in un armadio o in un hard disk. Il metodo storico procede per interpretazioni, giudizi, problemi che vengono rimessi in discussione da nuove acquisizioni e nuovi interrogativi. Del resto come si può parlare di compatibilità ambientali, effetti climatici, Mezzogiorno, stabilizzazioni o conflitti, sistemi elettorali, migrazioni, religioni, Mediterraneo o Medio Oriente senza volgere lo sguardo indietro? 3. Lo studio del Novecento prevede (meglio sarebbe dire avrebbe dovuto prevedere) una più generale ridefinizione dei diversi segmenti del sistema formativo. Se alcuni argomenti o periodi vengono affrontati ripetutamente nel passaggio da un livello all’altro (dalle elementari alle medie, dalle medie alle superiori) altri vengono sacrificati. Tema che coinvolge in pieno i percorsi universitari nel ridimensionamento progressivo degli studi sull’Ottocento, persino sulla grande cesura della Rivoluzione francese: nei programmi e nei corsi un tempo sospeso tra età moderna e contemporanea che fatica a trovare la rilevanza che meriterebbe.

Investire sulla ricerca e la formazione dovrebbe rappresentare un asse fondamentale, una priorità irrinunciabile, una risorsa di futuro. Forse converrebbe partire da qui per non perdere altro tempo


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