Una sindacalista all'Istruzione
Segnale di discontinuità rispetto alla riforma della scuola
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Alessandra Ricciardi
Se segnale di discontinuità doveva essere, alla fine così è stato. Nuovo ministro dell'istruzione, università e ricerca è Valeria Fedeli, senatrice pd, vicepresidente vicario di Palazzo Madama, ex sindacalista della Cgil. La Fedeli si definisce «una sindacalista pragmatica, femminista, riformista, di sinistra».
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Prende il posto di Stefania Giannini, alla fine l'unico personaggio di rilievo del governo Renzi a essere rimasto fuori dal nuovo esecutivo Gentiloni. Negli ambienti parlamentari democratici si motiva la scelta come il tentativo di mettere una pietra sulle polemiche e i problemi che hanno accompagnato la riforma della Buona scuola. Tra le cause principali, di questo era convintissimo anche Matteo Renzi, del calo di consensi al Pd e del voto contrario al referendum sulla riforma costituzionale. Se Renzi, e di conseguenza la Giannini, ha fatto una riforma all'insegna della rottura con il mondo sindacale e con la politica concertativa, ora nella stessa casella, impegnata sulla carta a dare gambe alla riforma, c'è una sindacalista di razza e di carattere. E di sinistra.
Sul tavolo di viale Trastevere, la Fedeli troverà dossier scottanti, che discendono tutti dalla Buona scuola: la mobilità dei docenti emigrati, il nuovo reclutamento, la situazione dei precari e delle relative graduatorie. E poi la chiamata diretta dei docenti e il bonus al merito assegnato direttamente dal dirigente scolastico.
Su tutti questi temi, la Giannini, nelle ultime settimane, aveva aperto dei tavoli di confronto con i sindacati, ora toccherà alla Fedeli portarli avanti.
Se l'obiettivo è ricucire con la scuola, creare un clima più sereno in questi mesi che ancora vedranno in piedi la legislatura prima del nuovo voto, quei tavoli dovranno portare a un risultato. Se cancellare la legge 107 non è possibile, servirebbe una nuova legge, è però possibile disinnescarla riportando nelle competenze della contrattazione alcuni temi che la riforma attribuiva al potere decisionale del datore di lavoro: in primis appunto chiamata diretta e bonus al merito. Una seconda partita si giocherà con le nomine dei sottosegretari, in questo caso la poltrona più delicata è quella di Davide Faraone, ma la linea è stata ormai decisa.