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Una riforma della scuola che fa storcere il naso

Professione insegnante ancora penalizzata

18/07/2014
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di Francesco Ricci - Corriere di Siena

SIENA Di certe leggi, di certe proposte di legge, si prova imbarazzo perfino a parlarne. Imbarazzo, fastidio e un po' di vergogna. Ci pare inconcepibile, infatti, che qualcuno le abbia potute pensare, scrivere e magari presentare in Parlamento per l'approvazione. Perché sono leggi, sono proposte di legge, che non solo offendono il senso comune, non solo feriscono coloro che da quei provvedimenti si sentono (e sono) più toccati, ma che rivelano in maniera certa, e una volta di più, che la distanza che separa chi governa da chi è governato nel nostro Paese si è fatta siderale. Sotto questo aspetto, sono leggi, sono proposte di legge, che costituiscono altrettanti punti di non ritorno. A tale categoria appartiene in toto la proposta di riforma della scuola avanzata dal ministro Stefania Giannini e dal sottosegretario alt Istruzione Roberto Reggio. Non sorprende affatto che la prima sia stata in precedenza rettrice dell'Università per Stranieri di Perugia (dal 2004 al 2013) e il secondo, dal punto di vista professionale, un ingegnere attivo nel settore idroelettrico. L'impianto generale, in effetti, stando a quanto è finora trapelato, appare, a una prima lettura, solido, ben congegnato, con una sua ratio: le 36 ore settimanali in luogo delle attuali 18, l'apertura degli istituti scolastici anche al pomeriggio e nel mese di giugno, una ridefinizione dei parametri in base ai quali determinare lo stipendio, il conferimento di maggiori poteri ai Dirigenti, la cancellazione delle supplenze brevi, un nuovo percorso per divenire docenti. Ma le prime letture, al pari delle prime impressioni, quasi mai regalano una conoscenza esatta e neppure la proposta Giannini Reggio si sottrae a questa regola. Ad esempio, l'idea che le scuole rimangano aperte anche per buona parte del pomeriggio, diventando così luogo di studio (individuale o di gruppo) per molti allievi e di ricerca per molti docenti, non è in sé certo disprezzabile. Oltretutto, una simile iniziativa contribuirebbe a rinsaldare i legami tra i diversi attori della scuola, facendo di questa una vera e propria comunità, nella quale il singolo può tornare a pensarsi e strutturarsi a partire dall'insieme, dal gruppo. Peccato, però, che tale proposito non sia minimamente attuabile, tenuto conto delle condizioni, penose, in cui si trova attualmente l'edilizia scolastica: prevedere uno spazio mensa per gli insegnanti, gli alunni, il personale ATA (a meno che non si voglia farli bivaccare in aule e corridoi), quando mancano uscite di sicurezza e impianti a norma di legge appare o risibile o provocatorio o, più probabilmente, entrambe le cose. Eppure questa osservazione coglie soltanto una parte del problema, eppure questa osservazione non pare giustificare parole come "imbarazzo", "fastidio", "vergogna". Al limite, si potrebbe definire la proposta del Miur come una di quelle iniziative (una delle tante) delle quali non sfugge, a un esame più attento, la demagogia e la superficialità. In realtà le cose non stanno così, in realtà ci troviamo in presenza di un disegno che punta a spezzare definitivamente l'unità del corpo docente (un divide et impera "cortese", avrebbe detto il Fortini di Traducendo Brecht) e che comporta, tra le sue conseguenze, un ulteriore disconoscimento della professione insegnante. Per quanto concerne il primo punto, basti pensare che il contratto della Scuola è fermo al 2009, che solamente ora, e non senza incertezze e ritardi, si sta mettendo mano alla questione relativa ai mancati scatti di anzianità, che gli stipendi dei docenti italiani restano tra i più bassi in Europa. La prima (la sola) cosa che ci saremmo aspettati da Matteo Renzi, che a parole ha sempre posto la Scuola tra le priorità del suo governo, sarebbe stata quella di rinnovare finalmente il contratto e di ripristinare sin da subito la progressione di anzianità, collocando ogni lavoratore all'interno dello scaglione retributivo che gli spetta e che ha maturato. Punto. Oltretutto, ciò avrebbe costituito un segno tangibile di discontinuità rispetto al passato, rispetto alla prassi consolidata, cioè, di disattendere obblighi e impegni (a ricordarcelo sono la perdurante lentezza nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione e l'indecorosa situazione in cui versano le carceri italiane). Se ciò non è stato fatto, è perché a viale Trastevere ha prevalso un'altra logica: quella di minare l'unità e l'unitarietà della categoria degli insegnanti, prevedendo fino al 30% in più della retribuzione per chi svolga attività aggiuntive, connesse, almeno così sembra, in particolare con l'informatica e con le lingue straniere, come è nel miglior spirito della globalizzazione neocapitalista e neoliberista. Per quanto riguarda il secondo punto, invece, pensare a raddoppiare le ore lavorative, richiedendo la presenza dell'insegnante in loco, significa far passare presso l'opinione pubblica il messaggio che sino ad oggi la correzione dei compiti, la preparazione dei questionari, l'aggiornamento, la stesura di programmi, di programmazioni, di relazioni, non sono state, e tali non vanno considerate, attività legate all'esercizio della professione docente. Piuttosto, sono innocenti distrazioni, momenti di svago, immaturi modi d'ingannare il tempo, impegni modesti di esistenze altrettanto modeste e inutili, quelle dei docenti, specie dei docenti di materie letterarie e di filosofia, i quali sono ancora convinti che educare non sia insegnare, che una classe sia molto di più e molto di diverso dalla semplice somma dei suoi alunni, che un libro lo si legga non solo per acquisire una competenza, ma anche per apprendere un contenuto, un contenuto, che, magari, possa aiutarci a orientarci nel mondo, a scegliere in proprio, a non confondere per un nuovo inizio della scuola quello che, in realtà, è l'annuncio della sua fine. 


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