Una questione sottovalutata e una domanda retorica
di Antonio Valentino
Un problema grosso di questa fase è la mancanza di dialogo e di intese tra le varie espressioni del mondo della scuola. Che genera incomprensioni, diffidenze e lacerazioni di cui non si sente il bisogno. Richiamo qui a titolo esemplificativo il tema del potenziamento delle funzioni del DS della nuova legge di riforma.
Ne sono fiorite, come è ultra noto, interpretazioni e valutazioni nelle quali sono state fatte entrare questioni grosse che non sempre hanno a che fare con il merito delle scelte fatte al riguardo dalla L. 107. Interpretazioni che si ha l’impressione nascano piuttosto da un clima generale fatto di diffusa, reciproca sfiducia tra i diversi attori in campo (tra Ministero e Organizzazioni Sindacali, tra questi ultimi e DS e docenti, tra docenti al loro interno e tra docenti e ds …) che non aiuta di certo ad affrontare i problemi per il verso giusto.
Al riguardo, ha certamente avuto un suo peso, oltre al blocco della contrattazione per il rinnovo contrattuale, l’inversione a 180°, da parte delle forze di governo, della prima intuizione della Buona scuola: quella che assumeva come centrale il coinvolgimento dei docenti – ovviamente riconosciuto, anche se in modo ambiguo - sui terreni dello sviluppo professionale, della qualità del lavoro, della collaborazione al buon funzionamento; intuizione contraddetta, nei passaggi legislativi, da scelte normative che sembrano assumere come centrale invece la figura “potenziata” del DS.
Ma va onestamente riconosciuto che sospetti e conflittualità erano all’ordine del giorno anche prima della L. 107; la legge li ha di fatto acuiti, essendo prevalse, nel dibattito che ne è seguito, interpretazioni e valutazioni nelle quali, come si diceva, hanno pesato sospetti e conflitti precedenti.
È questo clima che ha fatto sì che si enfatizzassero, da parti di settori consistenti del mondo della scuola, solo i rischi e le ambiguità della nuova legge di riforma
- nonostante i correttivi pur importanti introdotti nel testo legislativo definitivo - e non si centrasse il problema vero che la Legge faceva emergere: un potenziale offuscamento della funzione docente e la necessità di opportuni bilanciamenti necessari a creare motivazione e coinvolgimento nella categoria
E così, per un verso, la polemica, continua e logorante, si sostituisce a comportamenti propositivi e dialoganti, bruciando energie e intelligenze nell’affermazione astiosa delle proprie ragioni e dei torti altrui.
È in questa logica che si è finito per considerare uno scandalo, in parecchi ambienti scolastici, scelte come quella ricordata sul potenziamento delle funzioni del DS - o anche sull’alternanza e altri temi altrove liberamente dibattuti - e aprire fuoco ad alzo zero.
Per un altro verso, sul fronte opposto (quello ministeriale), abbiamo dovuto assistere a modalità comunicative e scelte operative fatte di circolari inconcludenti e fastidiosamente retoriche e soprattutto di silenzi pesanti sui perché (senso, processi, problemi) dei cambiamenti proposti al riguardo e sull’idea di scuola che si tende a realizzare (quali forme di governo/autogoverno interno; quali forme di incentivazione – a livello di sistema - per lo sviluppo professionale …).
È mancata cioè – e continua mancare - da parte del gruppo dirigente ministeriale una necessaria politica di spiegazione e condivisione di senso e di prospettiva. Come è mancata sia l’attenzione ai problemi che le scelte legislative comportano, sia la ricerca di misure volte a rassicurare che la direzione di marcia è altra rispetto a quella indicata dagli “apocalittici”. Ma anche a coinvolgere il personale, e chi ne rappresenta interessi e attese, attraverso momenti di ascolto e di dialogo, e impegno a rassicurarli; per esempio su progressione economica e sviluppo di carriera: questi sì, provvedimenti capaci di creare motivazione duratura e sviluppo di sistema. Invece alle scuole sono arrivate inutili circolari e l’eco di silenzi rumorosi.
Ovviamente, con queste considerazione non si intendono demonizzare contrasti e divergenze che sono il sale della democrazia, ma semplicemente evidenziare i rischi di situazioni conflittuali permanenti che distorcono la comunicazione e impediscono punti di incontro e collaborazioni.
L’interrogativo è però ora come uscirne. Che ovviamente è domanda da cento milioni di dollari. Comunque, interrogativi su cui almeno aprire una discussione, ne vengono in mente; del tipo:
E se le forze associative - dall’ANDIS all’MCE, dal CIDI a PROTEO e alle diverse altre sigle che hanno, nei decenni passati, segnato positivamente la storia delle nostre scuole - recuperassero un loro protagonismo propositivo sulle tematiche su cui la contrapposizione è in questa fase più aspra?
E se, assieme a queste (le Associazioni professionali), recuperassero intenzionalmente un ruolo di approfondimento e raccordo, tra le posizioni contrapposte, figure stimate per le alte funzioni meritoriamente coperte in passato, o anche Dirigenti tecnici prestigiosi o figure ascoltate del mondo universitario, ecc., che hanno maturato l’idea che così non si può andare avanti?
E se, ancora, all’interno delle scuole, tra DS e docenti e personale tutto, si riaprisse, nelle varie situazioni in cui sembra scomparso - e non sono pochissime -, una stagione di chiarimenti, di riconoscimento reciproco, di codici di comportamenti condivisi, nell’interesse dei ragazzi e del rispetto dei diritti di tutti?
C’è solo da chiedersi – e sia detto con un pizzico di autoironia - se con la bella stagione che avanza, è opportuno coltivare pensieri così impegnativi, a scapito di altre cose più piacevoli.
P.S. Finito di scrivere questo “pezzo”, mi è capitato di leggere una appropriata Bustina di Minerva del 2009, di Umberto Eco, riproposta nella sua ultima pubblicazione: Pape Satàn Aleppe presso l’Editrice “La nave di Teseo”. L’Autore racconta di una sua conversazione con un tassista pakistano a New York durante un tragitto. Chiarisce inizialmente che il tassista ignorava tutto del nostro Paese e accenna al sentimento di storica ostilità dei pakistani nei confronti degli indiani emersa nella conversazione. Ad un certo punto il tassista chiede ad Eco chi fossero i nemici del nostro Paese. Lo scrittore non capisce la domanda e imbarazzato dice che gli italiani non hanno nemici; il tassista non ci crede e insiste. Ma Eco ribadisce. Dopo essere sceso e ripensandoci, gli viene il mente la risposta che invece avrebbe dovuto correttamente dare al pakistano. E cioè che “… non è vero che gli italiani non hanno nemici. Non hanno nemici esterni e in ogni caso non sono mai in grado di mettersi d’accordo su quali siano, perché sono continuamente in guerra, ma all’interno. Gli Italiani si fanno la guerra tra di loro, una volta città contro città, eretici contro ortodossi, partito contro partito, corrente di partito contro corrente di partito (….). Non so se avrebbe capito – conclude – ma almeno non avrei fatto la figura di appartenere ad un paese senza nemici.”