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Una ferita da risanare subito

L’area di diecimila metri distrutta dal rogo non è un semplice museo che si affaccia sul golfo.

06/03/2013
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La Stampa

di Marco Rossi-Doria

La Città della Scienza di Napoli è un simbolo. E’ nata nel 1996 nell’area della grande dismissione dell’Ilva di Bagnoli. Nel luogo simbolo della Napoli produttiva e operaia, che era stata lasciata solenne e vuota, mai più dedicata a una prospettiva di sviluppo, come invece è stato per le aree industriali dismesse di Torino. La dolorosa Dismissione narrata da Ermanno Rea. Così, la vastissima area ricordava alla città una perdita operosa e cosciente – gli operai delle fonderie poi degli altoforni e dei laminatoi – che avevano donato per decenni l’ossatura di una vera presenza democratica e lasciavano un gigantesco vuoto.

Ebbene, è proprio in questa area dolente che la nascita della Città della Scienza – unica porzione attuata di un piano regolatore disatteso per colpevole inconsistenza dei ceti politici - aveva ritrovato un significato vero, che restituiva un senso di vita alla città. Perché la progressiva costruzione, con meticolosa cura scientifica, della Città della Scienza - negli edifici stessi degli impianti industriali riattati - ci diceva che ogni cosa è possibile, può riprendere vita, andare avanti. E’ così che il simbolo di una mancanza è diventato di nuovo un luogo vivo. E un luogo per apprendere. 350 mila visitatori all’anno, per il 65 per cento bambini e ragazzi delle scuole di ogni quartiere della città, delle città dell’entroterra e del Lazio e della Puglia e di tutta Italia. Il luogo per eccellenza dove, nel Mezzogiorno, con i nuovi media e con i laboratori, si impara a capire il mondo, le trasformazioni attuali e future, le leggi della chimica e della fisica, il cielo stellato e i suoi moti, le grandi questioni dell’ecologia e i sensi complessi della nostra biosfera… Finalmente un passaggio di consegna tra generazioni, che parte dalla storia, ben documentata, di un posto dove si produceva il ferro la ghisa e l’acciaio e arriva a mostrare come funzionano le cose e cosa può fare l’uomo per garantire tutela del pianeta e, insieme, innovazione, sviluppo.

La ferita di questo incendio è, dunque, radicale, intollerabile. E noi napoletani, mentre ci interroghiamo su quale probabile dolo lo abbia causato, dobbiamo chiederci come reagire. Perché dobbiamo presto restituire il lavoro didattico alle quasi duemila classi all’anno che dalle scuole andavano ad imparare insieme a centinaia di insegnanti competenti lì proprio lì dove l’incendio ha distrutto tutto. Quanti di noi insegnanti hanno fatto capire le cose lì anche a ragazzi distratti, con «poche basi», i quali, nelle ore passate nella Città della Scienza ogni volta hanno potuto ritrovare curiosità, dubbio, domanda, motivazione.

Non c’è che una cosa da fare: la Città della Scienza deve rinascere presto e migliore di prima. Il compito non sarà facile. Ma come diceva Giovan Battista Vico, il grande filosofo europeo della città: «Sono traversie ma sono anche opportunità». In queste ore centinaia di scuole fanno le prime raccolte di denaro, le associazioni degli studenti si attivano, i Ministri dell’Istruzione e della Coesione territoriale si sono subito sentiti con il Presidente della regione e con il sindaco. E si stanno cercando fondi sui capitoli di bilancio. In un’Italia e in una città affaticate è davvero tempo di darsi da fare - insieme ai nostri ragazzi - di riprendere la marcia, di riparare i danni e pensare a come possono rinascere le città, gli apprendimenti, le speranze.

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