Tutti a scuola già a tre anni «A quell'età si impara di più»
In Francia una legge anticipa l'obbligo
Tutti a scuola a tre anni. Non soltanto per giocare, fare i disegni e recitare le poesie di Natale, ma soprattutto per imparare. Come i grandi. Imparare, se non proprio a leggere, scrivere e far di conto, almeno a parlare. Il ministro dell'Istruzione francese Jean-Michel Blanquer ha presentato ieri, davanti al Consiglio Superiore dell'Educazione una riforma scolastica che introduce una piccola rivoluzione: la scuola dell'obbligo a cominciare dai tre anni e non più dai sei, dalla materna e non dalle elementari. Emmanuel Macron ne aveva fatto addirittura una promessa della campagna presidenziale: fare entrare l'asilo nella scuola dell'obbligo, perché è in quegli anni, tra i tre e i sei, che «si gettano le basi dell'apprendimento».
Il dibattito come spesso accade quando si parla di scuola, bambini, figli, genitori e insegnanti è annoso e spesso infuocato. E non soltanto in Francia. In Italia, per esempio, la Buona Scuola di Renzi ha avviato il progetto 0/6, per il potenziamento della scuola dell'infanzia, nidi e materne. Difficile per il momento pensare di anticipare la scuola dell'obbligo, perché prima dei sei anni la scuola italiana non è ancora la stessa in tutto il paese, divisa com'è tra Stato e enti locali. L'idea di far andare tutti a scuola a cinque anni, anticipando così la prima elementare, era stata avanzata per primo dal ministro Luigi Berlinguer nel '93. Ci rinunciò per le difficoltà finanziarie e organizzative di adattare l'offerta formativa della scuola per l'infanzia (oltre che per i grossi malumori dei sindacati degli insegnanti). Una decina di anni dopo, la ministra Stefania Giannini tornò all'attacco, cavalcando lo slogan «tutti alla primaria a cinque anni». Anche lei ha desistito quasi subito: fronda degli insegnanti, riforma troppo costosa.
Portare i piccoli italiani tutti a scuola un anno prima risolverebbe almeno un problema (anche questo ampiamente e da sempre dibattuto): quello dell'età di uscita dalle superiori. Con tredici anni di studio dalla prima elementare alla maturità, i ragazzi italiani sono infatti tra i più longevi tra i banchi e tra i più vecchi ad entrare all'università.
Altro fronte di discussione: i reali benefici dell'anticipare l'obbligo scolastico. I francesi con un ministero dell'istruzione sempre più seguace delle neuroscienze e delle teorie cognitiviste assicurano (parole di Macron) che «la plasticità del cervello prima dei sei anni è particolarmente propizia all'assimilazione del linguaggio, ed è proprio in questa fase che si fabbricano i futuri abbandoni scolastici». Quindi prima si comincia e meglio è. Per altri, però, la misura di portare obbligatoriamente a scuola i cinquenni sarebbe un atto di accusa nei confronti di genitori incapaci di educare i propri figli: prima glieli togliamo, meglio è. Una critica che trova un'eco particolare in Italia, dove criteri più socio-psicologici portano a pensare che i piccoli fino ai sei anni hanno tutto il diritto di giocare, fare la siesta e restare beatamente nel mondo degli affetti e delle coccole. Meno sentimentali, i francesi ritengono che a beneficiare di più di una scuola obbligatoria a tre anni saranno i bambini con situazioni familiari più difficili o disagiate, magari cresciuti in case dove il francese si parla poco o male. Sono circa il tre per cento della popolazione scolastica: quelli che a sedici anni avranno le maggiori probabilità di lasciare la scuola dell'obbligo senza sapere né leggere né scrivere. «A due anni il bambino conosce venti parole, a sei ne deve conoscere 2500 ha detto Macron L'immersione nel linguaggio in questi primi anni è un obiettivo fondamentale. La scuola materna dovrà diventare la scuola del linguaggio».
LE ALTRE MISURE FRANCESILa riforma francese il cui titolo è per una scuola della fiducia - dovrebbe entrare in vigore già dal prossimo anno scolastico e prevede altri cambiamenti: più autonomia alle scuole, possibilità per istituti privati di finanziare delle sezioni internazionali, un organo di valutazione dei risultati dell'insegnamento in ogni istituto.
Lorena Loiacono
Francesca Pierantozzi