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Tre interventi urgenti per l’università

Di Marco Meloni e Maria Chiara Carrozza

22/05/2012
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l'Unità

Nelle ultime settimane il governo ha adottato una serie di misure per l’equità e la crescita, rivolte in particolare riguardo al Mezzogiorno, ed è intenzionato a proseguire con altri interventi, in particolare rivolti alla promozione del merito. Per vincere la crisi, ne siamo tutti consapevoli, serve una nuova fase di sviluppo. Gli obiettivi ambiziosi dell’Ue per il 2020 (innalzamento al 75% del tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni, contrasto alla povertà, investimenti in ricerca e innovazione) stavolta non possono restare sulla carta. Alla base di questi, l’innalzamento del livello di istruzione: riduzione degli abbandoni scolastici sotto il 10%, aumento al 40%dei laureati. L’Italia è molto indietro, si pensi che il governo Berlusconi ha trasmesso all’Europa obiettivi per il 2020 sotto le medie europee del 2010.E peggioriamo: sempre meno giovani italiani si iscrivono all’università (-10% nell’ultimo anno). Le ragioni sono varie: un orientamento inefficiente, l’idea– sbagliata! – che studiare sia inutile. Ma soprattutto queste scelte segnano un’intollerabile decrescita culturale e sociale, per cui l’alta formazione tende a trasmettersi nuovamente per censo. Pochissimi ottengono borse di studio: il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il30%della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato dell’11,2%, mentre aumenta negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%). Si può ormai fare un bilancio della «Grande Riforma» Gelmini: l’università italiana è bloccata da procedure macchinose e interminabili, che non ci consegnano un sistema più efficiente, ma più asfittico e di minor qualità, oltre a una generazione perduta di ricercatori. Così, stiamo già scivolando fuori dal modello sociale europeo: un’Italia rassegnata all’inutilità della formazione vive il declino come destino. Nel Programma nazionale di riforma 2012, il governo ha mostrato attenzione a questi temi, marcando essenziali discontinuità, sostenendo il valore sociale dell’istruzione e il rafforzamento del diritto allo studio. Non basta: ora occorre passare dalle parole ai fatti. Servono misure strategiche e interventi urgenti, che a nostro avviso devono essere mirati su tre priorità. Primo, un programma nazionale per il merito e il diritto allo studio, che affianchi gli interventi regionali, finanziato con 500 milioni (250 di risorse già destinate all’università e 250 da prestiti d’onore) e potenziato nel Mezzogiorno dall’utilizzo delle risorse europee per sostenere percorsi Erasmus e “Master and back”. L’università torni a essere la culla, e non la tomba della mobilità sociale, garantendo davvero il diritto costituzionale a completare gli studi per i capaci e meritevoli “ancorché privi di mezzi”. Secondo, la circolazione dei talenti e l’apertura internazionale. Nel venticinquesimo compleanno dell’Erasmus, l’Italia ha poco da festeggiare, perché il programma coinvolge solo l’1% dei nostri studenti, metà della media europea, al Nord il doppio che al Sud. Puntiamo a far sì che in 5 anni si passi da 20mila a 100mila studenti Erasmus all’anno, intervenendo con sgravi fiscali per le famiglie, sul riconoscimento dei crediti, sugli scambi di ospitalità. Erasmus significa anche accoglienza degli studenti stranieri, e richiama l’apertura e la trasparenza del sistema: insegnamento in inglese e dell’inglese, equipollenza per il riconoscimento dei titoli accademici, “cattedre parziali” per gli studiosi che insegnano nelle università straniere. Terzo, l’accesso ai ruoli universitari. Anche qui, tutto è fermo, dalle procedure di abilitazione al piano per gli associati, ai contratti in tenure track: si deve invertire la marcia e investire sui giovani, con il contratto unico di ricerca (con diritti certi e compensi adeguati) per tutte le attività post-doc e una figura più “forte” di professore junior in percorso di ruolo. A poco più di 30 anni deve essere possibile fare di un talento – la ricerca e l’insegnamento – l’impegno della propria vita. È vero, il capitale umano si qualifica con una “veduta lunga” che richiede un’azione costante e pluriennale. E l’università italiana ha bisogno di una visione di coesione e apertura, che – come cerca di fare il Paese – la riporti al centro delle dinamiche dello spazio europeo dell’istruzione, che riprenda la strada di “autonomia e responsabilità” interrotta in questi anni. Sono cose che faremo. Ma è urgente, oltre che lanciare un grido d’allarme, trovare ora l’energia per ripartire: la nuova Italia deve tornare subito a scommettere nello studio, se non vuole continuare a disperdere le possibilità economiche e culturali dei suoi figli e nipoti.


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