Torna la scuola reale
Archiviato l’ultimo governo Berlusconi, la nuova fase politica si giocherà su questa affermazione del nuovo premier: “Il vero costo della politica è aver guardato per decenni al consenso e non al futuro delle nuove generazioni”.
di Fabrizio Dacrema
Archiviato l’ultimo governo Berlusconi, la nuova fase politica si giocherà su questa affermazione del nuovo premier: “Il vero costo della politica è aver guardato per decenni al consenso e non al futuro delle nuove generazioni”.
Se, sull’orlo del baratro, il paese troverà il coraggio di accantonare la prevalenza degli interessi a breve termine, allora, nonostante l’emergenza finanziaria, si riscoprirà il buonsenso contadino secondo il quale, quando le cose vanno male, si tira la cinghia ma non si smette di seminare.
La conoscenza è, per eccellenza, un investimento a redditività differenziata, i suoi ritorni sociali e individuali sono certi e superiori a qualsiasi altro tipo di investimento, ma gli effetti si manifestano solo nel medio e lungo periodo.
Le stanze dei bottoni sono oggi popolate da persone che queste cose le sanno bene, non solo perché le hanno studiate, ma perché hanno promosso, realizzato e divulgato ricerche tese a dimostrare che investire in conoscenza conviene sempre. Penso all’Ufficio Studi della Banca d’Italia o alla recente pubblicazione dell’attuale Governatore Ignazio Visco significativamente intitolata “Investire in conoscenza. Per la crescita economica”.
Indipendentemente dall’orientamento politico, siamo di fronte a una nuova classe dirigente lontana anni luce dal populismo e accomunata da una visione della conoscenza come fattore strategico per lo sviluppo.
Un’ulteriore conferma è venuta dall’ascolto del Ministro Profumo al CNR il 7 dicembre.
Dopo le vagonate di “bullshit” gelminiane, sembra tornata la scuola reale, un grande corpo debilitato da trascuratezza, cure sbagliate e salassi demolitivi per il quale urgono interventi di rianimazione ed efficaci iniezioni di innovazione.
Il Ministro, pur con la cautela di chi sta ancora studiando i dossier, ha toccato i tasti giusti:
- restituire reputazione e attrattività alla funzione docente;
- promuovere diffusamente processi di innovazione didattica per migliorare gli esiti di apprendimento e motivare le nuove generazioni “native digitali”;
- la valutazione non sanzionatoria ma strumento indispensabile per conoscere e migliorare il sistema;
- l’autonomia scolastica come responsabilità e partecipazione per superare i rischi di autoreferenzialità;
- accoutability, autovalutazione e trasparenza per promuovere il cambiamento attraverso processi bottom-up;
- la peculiarità del sistema scolastico rispetto ai modelli aziendali;
- la necessità per i sistemi formativi di giocare d’anticipo rispetto ai bisogni sociali ed economici (“nessuno immagina le professioni del 2030”).
Nel pensiero del Ministro traspare la convinzione della necessità del protagonismo del mondo della scuola per realizzare cambiamenti effettivi unita alla consapevolezza della presenza di resistenze al cambiamento e di una elevata inerzia del sistema.
Qui sta il nodo su cui si deciderà il successo delle politiche della conoscenza del nuovo governo. Difese, resistenze e inerzie potranno essere superate solo se il progetto del governo sarà coerente, credibile e condiviso. Ciò significa innanzitutto discontinuità con le scelte del precedente Ministro tese a rendere meno inclusivo il sistema scolastico e una decisa inversione di tendenza rispetto al progressivo disinvestimento nella conoscenza programmato da Tremonti (secondo il documento economico finanziario 2011-14 la spesa per l’istruzione, già oggi tra le più basse dell’Ocse con un magro 4,8 per cento, è destinata a precipitare entro il 2030 al 3,2% del Pil).
Nessuno chiede miracoli nel momento dell’emergenza finanziaria, ma le scelte di oggi saranno decisive per un futuro non breve.
Per questo lo sciopero del 12 e 19 dicembre, finalmente proclamato unitariamente, mira a ottenere una correzione della manovra economica che non è solo finalizzata a cambiare le misure inique e recessive che colpiscono i lavoratori dipendenti e i pensionati. Mira anche ad accrescere il prelievo sulle grandi ricchezze e sull’evasione fiscale al fine di potenziare gli interventi finalizzati alla crescita economica e alla ripresa degli investimenti nella conoscenza.
In un paese dove il 10 per cento dei cittadini detiene il 50 per cento della ricchezza e dove l’evasione fiscale ammonta a 120 miliardi all’anno non ci sono alternative, in queste due aree si devono trovare le risorse per “pensare a quel futuro delle nuove generazioni” che il nuovo Presidente del Consiglio ha giustamente posto come priorità.