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Tfa, il via libera ai precari “storici” rischia di far saltare il banco

Al momento non ci sono deroghe per far accedere ai corsi abilitanti tutti precari con almeno 360 giorni. Se arriverà l'ok, si rischia un numero raddoppiato di corsisti. Ma non quello dei posti per le assunzioni. Con i candidati più giovani che verrebbero danneggiati. A sorridere invece sarebbero gli atenei.

09/05/2012
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La Tecnica della Scuola
A.G.
Sta creando un turbine di reazioni l’annuncio del ministro Profumo al grande pubblico, attraverso un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, sulla volontà del Miur di aprire i Tfa a tutti quei docenti che abbiano maturato almeno tre anni di servizio sulla classe di concorso per la quale intendono ora abilitarsi. In effetti, si tratta di una notizia che sconvolgerebbe il già precario assetto dei percorsi abilitanti, incentrato su corsi e tirocini attivi che avrebbero dovuto traghettare il sistema di reclutamento sino alla sua definitiva riorganizzazione.
Vediamo quali sono i punti oscuri. Il primo riguarda il via libera ai precari con un certo numero di anni di servizio (a dire il vero Profumo ha parlato di tre anni ma dovrebbero bastare, invece, solo 360 giorni): leggendo e rileggendo le modalità organizzative e operative per le prove di accesso ai Tfa, contenute nel Decreto del Direttore generale n. 74 del 23 aprile, si scopre che l’unica deroga alla procedura di accesso diretto dei docenti precari riguarda i candidati che hanno superato le prove riguardanti le vecchie Ssis (ma che poi non hanno portato a compimento il corso formativo). Serve dunque, anzi è indispensabile, una norma ad hoc.
La mancanza è stata individuata anche dal presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, il quale, dopo essersi compiaciuto della decisioni del Miur di aprire ai precari “storici”, evitando così “un contenzioso, qualora viale Trastevere non avesse creato un via preferenziale per questi lavoratori precari che hanno acquisito sul campo competenze e professionalità”, ha chiesto pubblicamente che le intenzioni di Profumo si traducano al più presto in un atto concreto: “è indispensabile una decisione rapida da tradurre con un emendamento, all’interno del prossimo provvedimento legislativo varato dal Governo”. Del resto, gli interessati scalpitano. E non si possono di certo avvisare una settimana prima della scadenza dei bandi (fissata al 3 giugno).
Ora, ammesso che arrivi la deroga, la presenza dei docenti oltre i 21mila previsti creerebbe comunque non pochi problemi. Il contingente è stato infatti decretato dopo un lungo “tira e molla”, con al centro pressioni politiche, ministeriali, sindacali e accademiche. Oltre che dei diretti interessati. Le cifre individuate (4.275 posti associabili alla scuola secondaria di primo grado e 15.792 a quella secondaria di secondo grado, mentre ancora una volta aspiranti di infanzia e primaria rimarranno a bocca asciutta), sono frutto di conteggi che tengono conto dei posti oggi vacanti a livello regionale, delle stime sui prossimi pensionamenti e delle probabili riconversioni. Oltre che di una serie di altri fattori, tutt’altro che secondari. Come la capacità di organizzare i corsi da parte degli atenei. Ora, aggiungere un numero consistente di posti (alcune prime stime indicano almeno altri 20mila partecipanti che non passerebbero per la preselezione) potrebbe far saltare il “banco”. Nel senso che ritrovarsi con un numero raddoppiato di abilitati creerebbe una corsa al posto vacante (utile per acquisire supplenze ed eventuali assunzioni in ruolo). Con i neolaureati (in graduatoria rimasti in fondo) a fare la parte delle vittime sacrificali. Vanificando le intenzioni di apertura del ministro proprio ai più giovani candidati all’insegnamento.
Emblematica, in questo senso, la domanda “postata” da una nostra lettrice sulla lista di discussione Facebook. “Io non ho ben capito una cosa: se ad esempio a Catania per la classe di concorso A037 ci sono 15 posti, e ci sono 15 candidati con almeno 360 giorni di servizio (ma ovviamente saranno molti di più), automaticamente non ci sono più posti per quelli che restano (cioè quelli senza servizio) o si fa un conteggio a parte? Evidentemente - conclude polemicamente la lettrice - non sono l'unica ad aver fatto questa considerazione...è tutto il sistema che è sbagliato, privo di logica"
C’è poi da approfondire il versante economico della faccenda Tfa. Se ai corsisti con almeno 360 giorni di servizio verrà risparmiata la fase preselettiva e lo svolgimento dei tirocini (“Nella realtà il tirocinio l'hanno già fatto. Finito il corso, come tutti gli altri tirocinanti, dovranno superare la prova finale”, ha detto il ministro Profumo) lo stesso non si può dire della tassa di frequenza dei corsi. Forse sarà una tassa leggermente ridotta. In ogni caso per i rettori e i gestori delle casse degli atenei sarebbe un’altra importante boccata d’ossigeno. Peccato che a fornirla saranno i precari della scuola. Cui si chiederà di tirare fuori migliaia di euro per avere solo una certezza: accedere alla lotteria del futuro maxi-concorso.

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