Terminare la scuola a 18 anni?
Pino Patroncini
Terminare il percorso scolastico a 18 anni. Questa proposta è uscita in questi giorni, non si capisce
con quanta convinzione, dalle stanze del MIUR. Un ballon d’essai? O solo una uscita
estemporanea? Certo desta stupore che un governo che avrà una vita lunga al massimo un anno e
mezzo si metta in una impresa di cambiamento strutturale su cui altri governi con prospettive
temporali più lunghe e con ipotesi ben più strutturate hanno fallito.
Ma la proposta in sé non è peregrina. E non solo perché la fine dei percorsi scolastici (primari e
secondari) a 18 anni è caldeggiata dall’Unione Europea, ma soprattutto perché l’Italia, che lamenta
il ritardo con cui i suoi giovani entrano nel mondo del lavoro, ha uno dei sistemi di istruzione che
prevede i più lunghi tempi di percorrenza. Soprattutto se si guarda alle prospettive di un paese che
ambirebbe a collocare le proprie attività produttive nei settori avanzati e nella progettazione, il
percorso che prevede 5 anni di primaria, 8 di secondaria, 5 di università e 3 di dottorato,
difficilmente potrà offrire anche ai migliori studenti l’opportunità di raggiungere il top prima di quei
fatidici 28 anni, che secondo l’improvvido (e , a questo punto, anche conclamato ignorante)
sottosegretario Martone, rappresenterebbero il superamento della frontiera della “sfiga”.
Su questo fronte la differenza con gli altri paesi europei è evidente, non fosse altro perché questi
sono stati anche più accorti a compensare periodi più lunghi nei cicli iniziali o intermedi, con
periodi universitari più corti, o viceversa. Basta ricordare nell’ambito dell’attuazione del processo
universitario di Bologna il problema sollevato dal dottorato “corto” (1 anno e mezzo) degli inglesi.
La terminalità scolastica in Europa
Ma andiamo per gradi. In tutti i paesi europei la scuola secondaria termina a 18 anni? Non è vero!
Diciamo che forse la metà dei sistemi prevede lì il termine della secondaria, ma non è ancora un
dato comune.
In particolare terminano a 18 anni le scuole secondarie di tutte tre le comunità del Belgio, di
Irlanda, Spagna, Francia, Ungheria, Portogallo, Malta e di tutti e quattro i sistemi scolastici del
Regno Unito (tranne in parte la Scozia). Anche in Austria, Grecia, Cipro e nei Paesi Bassi quasi tutti
( ma non tutti) i percorsi terminano a 18 anni. Ma in alcuni paesi come Malta e i Paesi Bassi il
percorso scolastico primario-secondario è comunque di 13 anni perché la scuola primaria si inizia a
5 anni. Anche in Ungheria si inizia obbligatoriamente a 5 anni ma nella scuola dell’infanzia.
Terminano invece a 19 anni i sistemi di Bulgaria, Danimarca, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania,
Polonia, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia. Va detto però che in Finlandia e Svezia a
differenza che da noi il percorso scolastico non è di 13 anni ma di 12 perché l’obbligo inizia a 7
anni. Per la Finlandia poi una vera e propria data conclusione del liceo non c’è: vige infatti un
sistema di moduli simile ai corsi universitari per cui quello che una volta era l’ultimo triennio può
essere svolto in un periodo che va da un minimo di due anni ( quindi si può finire a 18 anni e lo fa
circa il 20% degli studenti finlandesi) ad un massimo di quattro (quindi a 20 anni), ma la
maggioranza lo frequenta ancora in tre anni.
Vi sono poi sistemi che hanno terminalità diverse a seconda dei diversi tipi di scuola oppure a
seconda che lo studente prosegua all’università o termini con la secondaria i suoi studi.
Il caso più noto è quello della Germania dove il liceo (gymnasiale oberstufe) e alcune scuole
professionali durano fino a 19 anni mentre le scuole tecniche (fachochschulen) e alcune scuole
professionali ( anche a seconda dei diversi laender) durano fino a 18 anni.
Al contrario in Scozia ( e anche in Francia fino a qualche anno fa) sono gli istituti professionali a
terminare a 19 anni.
Anche alcune scuole professionali ceche, lussemburghesi, romene arrivano fino a 18 o anche a 17
anni, ma il grosso delle scuole secondarie e soprattutto i licei di questi paesi arrivano fino ai 19
anni.
In Ungheria e in Romania gli studenti che non continuano all’università fanno un anno in più nei
licei, mentre in Grecia e Cipro questo succede rispettivamente per i licei, le scuole serali e le scuole
professionali in alternanza. Queste ultime anche in Austria e nei Paesi Bassi vanno uno o due anni
oltre il limite dei 18 anni. .
La potenzialità di studio a 18 anni
Quest’ultimo aspetto mette in luce un altro problema che riguarderebbe un’eventuale riduzione dei
percorsi scolastici in Italia: quello della prosecuzione degli studi,da noi scarsa, e quindi quello del
livello di preparazione generale della nostra gioventù. Insomma: un anno in meno rischia di essere
un anno in meno di acculturamento generale, anche mettendo in conto un aumento delle iscrizioni
universitarie grazie alla minore età al momento dell’uscita dalle secondarie superiori. Va detto
infatti che se oggi il 62% dei diplomati prosegue all’università, il 18% di questi abbandona dopo il
primo anno e solo un 50% arriva nei tempi dovuti alla laurea, gli altri vanno tutti fuori corso e non
c’è dunque da meravigliarsi se alla fine tra la popolazione compresa tra i 25 e i 34 anni ci
ritroviamo ancora con un misero 20% di laureati nel momento in cui la media europea è intorno al
35%, l’UE ci chiede di arrivare al 40% entro il 2020 e dobbiamo fare i conti con paesi in cui i
possessori di un titolo terziario sono il 49% dei giovani come in Corea o il 60% come in Canada.
Un dato insufficiente per un paese, come l’Italia, che cerca un ruolo nella società della conoscenza.
Per intenderci meglio: è un dato che fa sì che a livello mondiale un’azienda avanzata che cerchi
laureati ne trova il 50% tra americani, giapponesi e cinesi e meno del 2% tra gli italiani ( persino
meno che tra gli spagnoli, al 3%). Altro che fuga dei cervelli: c’è il rischio che tra poco anche
quella via ci sia preclusa.
Il problema che emergerebbe immediatamente da una riduzione del percorso scolastico, affinchè
esso non costituisca un calo del sapere complessivo dei nostri diciannovenni, sarebbe dunque quello
di garantire contemporaneamente una frequenza degli studi terziari e una continuazione del
percorso di studio a un più alto numero di studenti. Ma i dati sopra enunciati dicono che questa
condizione nel nostro paese non c’è. Il sistema universitario 3 + 2 non ha finora dato in ciò i
risultati sperati: tranne rare eccezione sembra che la laurea breve non serva a molto sul piano degli
sbocchi lavorativi e che allo stesso tempo la laurea lunga non produca effetti economici significativi
sulle retribuzioni della prima occupazione rispetto alla laurea breve (inchiesta del Consorzio Stella,
che valuta le università lombarde). Sono le contraddizioni del sistema, così come lo è il fatto che ,
pur in presenza di questi dati, non si parli d’altro che della abolizione del valore legale del titolo di
studio (?!).
Nello stesso tempo manca da noi un serio sistema di studi terziari non-universitari, para-universitari
o anche universitari che consentano una formazione superiore, magari anche in alternanza col
lavoro, quali quelli che ci sono in Germania, in Francia e in altri paesi europei. Da noi l’incerta
esperienza degli IFTS non è mai decollata e sembra ora rifluire su una appendice della Formazione
Professionale regionale, mentre quella degli ITS, a malapena agli inizi, coinvolge circa 2.000 alunni
( per fare un confronto: in Francia ne coinvolge 300.000!).
Le opportunità di studio post-secondario in Europa
In particolare: in Germania gli istituti tecnici (fachoberchule) prevedono un anno di
perfezionamento, dopo di che gli studenti possono proseguire, oltre che in percorsi di tipo
universitario (Fachochschule, 4 anni con indirizzi come economia agraria, design, tecnica,
economia aziendale, servizi sociali), in percorsi triennali di tipo terziario (berufakademie o
vierwaltungfachochochschule). Gli istituti professionali (beruffachschule e berufschule+betrieb)
possono o proseguire per altri tre anni professionali terziari in continuità o nell’abendgymnasium o
accedere a trienni di post secondario (fachscule, gesundheitwesens). L’innesto in questi percorsi
può variare da laend a laend. Nella sola regione della Wesfalia-Renania del Nord ci sono oltre a 18
università, 33 istituti di questo tipo e 9 di alta formazione artistica e musicale. E dire che da noi si
lamenta l’esistenza di troppe università!
In Francia, dove i licei tecnologici a 18 anni non rilasciano titoli professionalizzanti, per averli gli
studenti devono frequentare almeno una sezione tecnologica superiore (STS) allestita dalle scuole o
un istituto universitario di tecnologia (IUT), molto ambito e in buona parte scippato dagli alunni
uscenti dai licei scientifici, entrambi biennali. Gli altri vanno nelle università o nelle ambitissime e
ultraselettive Grandes Ecoles, previ bienni o trienni di corsi preparatori che vengono allestiti nei
licei francesi ( e dove insegnano i famosi e superpagati agregès). Il tutto è perfettamente incastrato
nel meccanismo dei crediti universitari.
Un allungamento scolastico di un anno complementare o terziario (fino a 19) è previsto anche nella
scuola belga francofona per tutti gli indirizzi e in quella delle altre comunità per l’indirizzo
professionale, in quella maltese, in quella professionale austriaca,
Hanno poi percorsi di tipo terziario brevi e diversi dalle università Belgio (uno, due o tre anni),
Cekia (2 anni), Bulgaria (2 anni), Estonia (2 anni), Irlanda(3 anni), Grecia (2), Lettonia (1 o 2),
Lituania (2), Lussemburgo (3), Ungheria (3), Malta (3), Polonia (2 e mezzo), Portogallo (1),
Slovenia (1), Slovacchia (2), Finlandia (3), Svezia (2).
Hanno percorsi di tipo post-secondario il Belgio francofono (3 anni +1), germanofono (3),
fiammingo (2 o 3), la Bulgaria (4), la Cekia (2 o tre anni e mezzo), la Danimarca (2 + 1), l’Irlanda
(2 + 1 + 1), la Spagna ( 2 + mezzo), Cipro (3), la Lettonia (1 o 2), La Lituania ( 3 anni + 2 semestri),
il Lussemburgo (2), l’Ungheria (2), Malta (3), Paesi Bassi (2), Austria (3), Polonia (3), Slovenia
(2), Slovacchia (2 o 3), Svezia (3), Regno Unito (2 ), Scozia (3 +1).
Hanno percorsi professionali post-secondari in alternanza il Belgio francofono (3 anni) e quello
fiammingo (2 ) e l’Ungheria, senza alternanza Finlandia, Svezia, Polonia, mentre Slovenia,
Slovacchia, Paesi Bassi e Austria continuano fino a 20 anni la formazione professionale in
alternanza, Paesi Bassi e Austria anche fino a 21.
La questione dell’abbassamento dell’età di uscita dalla scuola secondaria superiore non è quindi un
provvedimento da prendersi alla leggera. E non solo per gli effetti sugli organici (circa 50.000
cattedre e 10.000 posti ATA in meno), che si creda o meno alla prospettiva che gli organici avanzati
saranno convertiti in “organico dell’autonomia”, sorta di organico funzionale per potenziare
l’insegnamento rompendo la frontalità, ma soprattutto per le questioni anzidette. In altre parole o
prima si creano le condizioni, con tutte le risorse necessarie, o l’operazione rischia di essere un
boomerang, come già è successo in altre occasioni.
da www.ecolenet.it 1 febbraio 2012