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Tempo Bambino

di Arturo Ghinelli Contributo al convegno di Bologna “La scuola a tempo pieno guarda al futuro”

23/08/2007
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Per poter guardare al futuro la scuola a Tempo Pieno non deve dimenticare il passato,durante il quale ha dovuto subire numerosi attacchi di provenienza e natura varie. Tralascerei gli attacchi subdoli che sono solo serviti a fior fiore di pedagogisti e di ispettori a fare carriera,per soffermarmi invece su quelli apparentemente di “buon senso” ancora molto diffusi grazie al contributo militante della stampa .
L’interrogativo di fondo di questi signori è il seguente:” Ma siamo proprio sicuri che è un bene per il bambino restare a scuola 40 ore la settimana? Non sarebbe meglio che stesse più ore in compagnia della famiglia o di altre piacevolezze?”
Che da una parte sembra una domanda della serie:”E’ meglio lavorare poco e guadagnare molti soldi o lavorare molto e guadagnare poco?”
E dall’altra è una domanda vecchia quanto il Tempo Pieno. Il primo a farmela fu l’Assessore alla P.I. del Comune di Modena Liliano Famigli quando organizzavo un Comitato genitori-studenti per l’istituzione del Tempo Pieno nella scuola elementare del quartiere dove abitavo. E devo dire che la persona e l’epoca giustificavano molto di più quella domanda fatta allora. Infatti correva l’anno 1969 e l’utopia era di gran moda. Anche perché la domanda di Famigli era più utopica”Non sarebbe meglio che i genitori lavorassero meno,guadagnando uguale, e avessero più tempo per stare coi loro bambini?”
Ma oggi se un genitore lavora meno è perché è precario o se chiede il part-time,guadagnala metà,cioè troppo poco.
Oggi,in queste condizioni,quando un bambino non è a scuola non sta con la famiglia,ma viene deportato a calcio,karate,danza per fare quello che vogliono gli adulti. Il bambino oggi non è padrone del suo tempo,non può decidere di non far niente,di fare solo il bambino.
Posso capire lo scrittore,nostalgico della propria infanzia passata nel cortile o nei prati a giocare con gli altri, che,precettato dal Corriere,scrisse “Il bambino dovrebbe avere più tempo di fare il bambino”. Anch’ io bambino degli anni ’50 ho passato un sacco di tempo in cortile a giocare,un tempo pieno di esperienze collettive.
Ma per i mei alunni l’unico posto rimasto per fare queste esperienze è proprio la scuola,specialmente se a Tempo Pieno,perché ha tempi distesi e tempi vuoti,che il decreto della Moratti chiama “il dopo mensa”. La scuola a Tempo Pieno è l’unico luogo rimasto in cui può frequentare con successo il corso di “Gioco in cortile con coetanei”,una vera e propria arte le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Al di fuori della scuola la scelta è tra le attività “elettive”,che se collettive sono sempre competitive,e la solitudine di fare “vegeto”davanti al televisore o al computer.
Infatti quando li accompagno all’uscita alle 16,30,la battaglia più grossa che devono combattere è quella di convincere il genitore(o molto più spesso un suo surrogato),perché accetti di portarsi a casa anche il compagno di scuola che è stato l’amico del cuore di quella giornata. Faccio notare che in queste mie considerazioni ho dato per scontato che la famiglia sia il migliore dei luoghi possibili per la vita di un bambino d’oggi,ma non è così per tutti. E’ per questo che ho sentito tante volte(senza che se ne accorgessero)bambini confidarsi l’un l’altro,prima delle vacanze,il dispiacere per la scuola che stava finendo. Sono pronto a scommettere che si trattava di nostalgia per un luogo in cui il tempo è rimasto bambino.


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