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Tasse universitarie, sfida Pd-Leu. Ma è davvero una battaglia di sinistra?

Fuoco di critiche dai dem contro la proposta di Grasso di tagliare le tasse universitarie. Fedeli: «Meglio investire sulle borse di studio». Ma in legge di Bilancio ci sono solo 20 milioni in più contro i quasi 300 milioni del bonus a tutti i diciottenni

09/01/2018
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Corriere della sera

Orsola Riva

Sfida a sinistra sull’università. Ma siamo sicuri che si tratti di una battaglia di sinistra? La proposta di abolire le tasse universitarie lanciata ieri dal leader di Liberi e Uguali Pietro Grasso ha suscitato un vespaio nel Partito democratico. Simona Malpezzi, plenipotenziaria di Renzi per la scuola, l’ha bollata subito — non senza ragioni — come una misura che favorisce i ricchi e i fuori corso come Di Maio (sic). Non che in Italia non ci sia un problema di caro rette.Secondo i dati della Commissione europea siamo al terzo posto dietro il Regno Unito e l’Olanda. Ma non farle pagare neanche a chi può permettersele non è certo una misura perequativa. Soprattutto perché i mancati introiti sarebbero coperti dai soldi di tutti i contribuenti, anche quelli con i redditi più bassi. Non «una cosa di sinistra», insomma, per dirla alla Nanni Moretti. Come sarebbe semmai investire di più nel diritto allo studio, visto che siamo l’unico Paese d’Europa e del mondo dove esiste la figura dell’«idoneo non beneficiario», ovvero lo studente che avrebbe diritto a essere aiutato ma non riceve alcun sostegno dallo Stato semplicemente perché non ci sono abbastanza risorse a disposizione.

Il diritto allo studio negato

Se l’università italiana resta ancora una prospettiva per pochi fortunati (siamo penultimi in Europa per numero di giovani laureati) è per il combinato disposto fra caro-rette e esiguità del diritto allo studio (in Italia solo uno studente su dieci beneficia di una borsa). E’ quanto ha replicato oggi la ministra Valeria Fedeli al presidente del Senato. «Quello che bisogna fare è investire molto di più sulle borse di studio - ha detto Fedeli a Skytg24 -. Questo è quello su cui dobbiamo continuare a spingere, come abbiamo fatto anche nella legge di stabilità del 2018: abbiamo incrementato, e questo va fatto molto di più, le borse di studio per i meritevoli figli delle famiglie economicamente disagiate».

Le 3.500 borse sparite

Fedeli ha rivendicato l’introduzione di una «no tax area» per i redditi fino a 13 mila euro e di tasse calmierate (che comunque si aggirano attorno ai mille euro) per i redditi fino a 30 mila euro, misure giudicate largamente insufficienti dalle rappresentanze studentesche che chiedevano di fissare la soglia dell’esenzione almeno a 20 mila euro per intercettare molte più famiglie altrimenti in difficoltà. La ministra Fedeli inoltre non può non sapere che, al netto delle tasse (che si aggirano fra i 200 e i 2000 euro a seconda appunto del reddito), vi è l’enorme problema degli studenti fuori sede che sono letteralmente strangolati dal costo esosissimo degli affitti a fronte della scarsità di alloggi pubblici disponibili (allo stato ne beneficia circa un quarto degli idonei). Ed è pur vero che il Miur ha aumentato il Fondo per il diritto allo studio universitario di 20 milioni (dai 216,8 del 2017 ai 236,8 del 2018) ma è comunque meno dei 246 milioni del 2009, prima dei tagli imposti da Tremonti. I dieci milioni che mancano sono spariti nel passaggio della legge di Bilancio al Senato e così 3.500 borse di studio si sono letteralmente volatilizzate.

Trump a chi?

Perfino il ministro Carlo Calenda si è scagliato contro Grasso definendo la sua proposta come un'iniziativa «trumpiana», che premierebbe la parte più ricca del Paese perché a pagare i costi dell'operazione (1,6 miliardi di euro ) sarebbero chiamati tutti gli italiani, anche i redditi più bassi. Immediata la replica di Pier Luigi Bersani secondo cui quella di Grasso sarebbe semmai una proposta «tedesca», visto che in Germania l'università è già gratis. Ma va detto che da loro l'istruzione terziaria è davvero aperta a tutti, anche grazie alle lauree brevi professionalizzanti che in Italia invece non sono ancora decollate. Mentre da noi i laureati figli di papà (imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) sono un quinto del totale: tanti quanti i figli di operai e impiegati di basso livello che statisticamente dovrebbero pesare invece molto di più (dati Almalaurea). Dove semmai è scivolato Calenda è quando ha sostenuto che «gli studenti meno abbienti sono già esentati dalle tasse», visto che la «no-tax area» varata dal governo vale per una platea molto ristretta (meno di 13 mila euro di reddito, appunto). Come non può non sapere il bocconiano Tommaso Nannicini, della segreteria del Pd, che pure ha postato un tweet (subito condiviso dal segretario Renzi) rivendicando il fatto che «le tasse universitarie sono già state tolte a chi non può davvero permettersele».

Bonus diciottenni

Quel che è certo è che le misure finora messe in atto dal Pd per sostenere il diritto allo studio sono insufficienti e che avrebbero potuto pesare molto di più se, solo per fare un esempio, il regalo dei 500 euro fatto dall’ex premier Renzi ai 18enni non fosse stato confermato dal governo Gentiloni: parliamo di una paghetta distribuita a tutti i neo elettori indipendentemente dal reddito della famiglia d’origine. Una misura anch’essa assai poco perequativa, che per di più costa allo Stato poco meno di 300 milioni l’anno: soldi che avrebbero potuto essere investiti assai più proficuamente in borse di studio.


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