Sul vanverismo pedagogico
Si susseguono sulla stampa di massa gli interventi di intellettuali molto visibili e generalmente stimati che propongono contributi, sostanzialmente, sul tema della degenerazione della gioventù moderna, ovviamente collegata alle distorsioni della scuola del ventunesimo secolo, in particolare, spesso, accreditando tesi tecnofobiche
di Paolo Fasce (da "Educazione Aperta")
Si susseguono sulla stampa di massa gli interventi di intellettuali molto visibili e generalmente stimati che propongono contributi, sostanzialmente, sul tema della degenerazione della gioventù moderna, ovviamente collegata alle distorsioni della scuola del ventunesimo secolo, in particolare, spesso, accreditando tesi tecnofobiche. Un breve filmato illuminante, disponibile su Youtube e caricato nel 2014, mostra un intervento di Franco Nembrini, pedagogista nell’area di Comunione e Liberazione, dal titolo “L’educazione è un casino da mò”. Egli leggeva frasi imbarazzanti sui “giovani di oggi” profferite niente po’ po’ di meno che da Socrate (470 a.C.), Esiodo (720 a.C.), da un sacerdote dell’Antico Egitto (circa 2000 anni prima di Cristo) e rilevate in un’incisione su vaso d’argilla proveniente dall’antica Babilonia (circa 3000 anni prima di Cristo).
Mai, quindi, si è smesso di parlare male dei giovani e la tradizione continua tutt’ora, con un apparente boom estivo quasi imbarazzante. Oggi la colpa è delle tecnologie, mentre ieri lo era dei videogiochi, venne il turno dei giochi di ruolo, prima ancora della televisione commerciale, poi della televisione tout court (come non citare le sferzate di Pasolini contro il “pensiero unico”), ma potremmo transitare attraverso la radio, le perdite di tempo ottocentesche delle lettura dei romanzi (oggi idolatrati), ma non possono mancare i riferimenti alla nobiltà della calligrafia possibile con una stilografica, almeno, oppure della penna e calamaio, soppiantate dalla biro per retrocedere fino alla storia qui sopra citata.
Lo spazio Robinson di Repubblica ci ha regalato una nutrita schiera di interventi sulla scuola proprio in questo mese di luglio. Silvia Ronchey, il giorno 11, ci spiega Perché siamo tornati analfabeti (nel suo articolo, en passant, Ronchey analizzava una situazione drammatica a seguito dell’esame di Stato, confondendo i dati di quello terminale del primo ciclo di istruzione con quello ancora spesso chiamato come “esame di maturità”), mentre Corrado Augias il giorno 13 nella sua rubrica delle lettere interviene decretando che Il tramonto della scuola un disastro per i giovani. Torniamo alle poesie a memoria suggerisce Antonio Pennacchi, I testi di storia ridotti a fiabe incalza Stefania Auci, Sono in ritardo i ragazzi o la scuola? si domanda Eraldo Affinati, Perché il potere ha tolto le parole ai nostri ragazzi infierisce Gianrico Carofiglio, mentre Massimo Recalcati tuona Insegnanti, non scendete dalla cattedra e Asor Rosa incalza il 25 che L’Italia si salva cominciando dalla lingua e, infine, Michele Serra, il giorno dopo su “Per posta” de Il Venerdìdi Repubblica sentenzia che Chi salva la scuola salva il paese, con un contributo nel quale emerge la visione salvifica dell’ “extra scholam, nulla salus”. Non sono mancati, su altre testate, gli interventi di Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Massimo Cacciari, Umberto Galimberti persino, su infinite prestigiosissime altre testate. Da Il Corriere della Sera fino alle programmi di approfondimento televisivo. Trasmissioni che raggiungono centinaia di migliaia di ascoltatori, almeno.
Idee divergenti e commenti appropriati o tecnici si leggono su media di nicchia, sia quelli generalisti (ad esempio Gli Stati Generali con un contributo di Antonio Vigilante) che quelli di area (ad esempio Nicola Grandi con No, i nostri ragazzi non stanno diventando analfabeti sul sito dell’Università di Padova; Gabriele Boselli con Perché, siamo tornati analfabeti? (delizioso il gioco di parole che fa il verso a Ronchey) e Stefano Stefanel con Gli argomenti (caldi) dell’estate su EdScuola). Eccellente anche un contributo di Marco Bollettino sul sito de Il Sole 24 ore che, dati alla mano, smentisce coi numeri molte ingenuità profferite dai dotti che si esprimono fuori dai propri domini di competenza. In particolare il suo intervento spiega che “Contrariamente alla vulgata, i dati ISTAT segnalano che la quota più alta di lettori si riscontra tra i ragazzi di 11-14 anni”. Stimo che la scuola su questo dato abbia un peso.
Ora, immaginatevi Ernesto Galli della Loggia, o equipollente, ospite della Domenica sportiva. Immaginatevi questo intellettuale esprimersi sull’inutilità della regola del fuorigioco, sulle porte troppo strette, sulla bizzarria del quarto uomo e cose del genere. Non sarebbe subito messo a tacere dal Sandro Ciotti corrente nel corso di quella trasmissione? E invece no. Ernesto Galli della Loggia può impunemente affermare sul Corriere della Sera che la scuola è stata rovinata dalla pedagogia, mentre risposte sensate su questa castroneria sono fornite da Antonio Vigilante con Quale discorso di sinistra sulla scuola? ancora su Gli Stati Generali, da Christian Raimo con L’aula vuota di Ernesto Galli della Loggia è un libro pessimo sotto ogni punto di vista su Minima et Moralia e da Claudio Berretta con Docenti, le parole magiche sono: non arrendersi e trovare nuove strategie su La Tecnica della scuola, mentre Marco Campione, già un anno prima, rispondeva a Galli della Loggia su Il foglio a proposito della fantasiosa proposta di reintrodurre la predella sotto la cattedra. D’altro canto, di libri pessimi sulla scuola ne abbiamo diversi esempi, uno tra tutti quello di Mario Giordano che nel 2009 condensava una collezione di articoli pubblicati dal suo giornale e rimaneggiati in Cinque in condotta. Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola (per Mondadori). Non è da meno, invero, Michele Serra con Gli sdraiati.
Orbene, si notino le sproporzioni. Da un lato vanveristi pedagogici che scrivono su Il Corriere della Sera, La Repubblica e su altre testate nazionali, dall’altro tecnici del settore che rispondono su EdScuola, Gli Stati Generali, Occhiovolante, Educazione Aperta, Le parole e le cose, Il Mulino, Gessetti Colorati, Condorcet.
Riprendendo il paragone in ambito sportivo, se Galli della Loggia parlasse di calcio su Il Corriere della Sera, verrebbe sbugiardato il giorno dopo su La Gazzetta dello Sport. Ma non esiste La Gazzetta della Pedagogiacon analoga tiratura, quindi dovrebbero essere le gradi testate a raccogliere le repliche di Raffaele Iosa, Giancarlo Cerini e Franco de Anna (ispettori in pensione, attivi sul fronte della divulgazione e della riflessione pedagogica), Dario Ianes e Andrea Canevaro (pedagogisti speciali, esperti di inclusione scolastica), Cristiano Corsini (pedagogista sperimentale e animatore della pagina Facebook “Vanverismo Pedagogico”), Roberto Maragliano, Angela Sugliano, Lucia Ferlino, Stefania Manca e Antonio Fini (esperti di tecnologie variamente allocati nell’accademia, nella ricerca e nella scuola), Paolo Balboni o Laura Marini (esperti di linguistica e intercultura).
Proprio dalla pagina del Vanverismo Pedagogico ho appreso lo smontaggio di una bufala molto frequentemente condivisa, proprio per l’autorevolezza della fonte (Umberto Galimberti). Nella pagina viene infatti riportato un post di Vera Gheno, autodefinitasi come sociolinguista precaria, più di tre lustri in università e con vent’anni di collaborazioni con l’Accademia della Crusca, che distrugge la tesi secondo la quale gli adolescenti di oggi, niente po’ po’ di meno che secondo una ricerca di Tullio de Mauro, conoscono poche parole ( ). In particolare, sulla sua pagina, il 1° settembre 2018, ella scrive:
Da un po’ di giorni sto leggendo “L’educazione linguistica democratica”, raccolta di saggi di De Mauro uscita da poco per Laterza, a cura di Silvana Loiero e Maria Antonietta Marchese, e cosa ti trovo in un saggio del 2006 [“Educazione linguistica oggi”. In I. Tempesta, M. Maggio (a cura di), “Linguaggio, mente, parole. Dall’infanzia all’adolescenza”, FrancoAngeli, Milano, 2006]? Queste parole dello studioso:
«Un grande giornale, La Repubblica, tempo fa ha pubblicato senza battere ciglio un articolo di Umberto Galimberti, valente psicologo […] ma assolutamente, virginalmente, puerilmente ignaro di rudimenti di linguistica: con aria autorevole Galimberti ha comunicato che gli adolescenti italiani d’oggi conoscono soltanto circa seicento parole. Ora, seicento parole è il patrimonio lessicale minimo produttivo di un bambino treenne […]. In uscita dal primo ciclo delle elementari bambine e bambini sanno controllare produttivamente e ricettivamente molti usi delle 2.000 parole italiane del lessico fondamentale dell’italiano […] e, a seconda della bontà dell’insegnamento e della solidità culturale del loro ambiente, posseggono altre migliaia di parole del vocabolario che diciamo di “alta disponibilità” e di quello di rilevante frequenza e comune.
Molto più prosaicamente posso testimoniare di infiniti post che rilanciano dettagli sconcertanti e sempre falsi: gli studenti non danno più del lei agli insegnanti (ma quando mai?), gli studenti non si alzano in piedi quando entra un professore (tutti i giorni devo avere le allucinazioni!), oggi tutti vengono promossi (davvero? ma come reagireste di fronte ad una frase di questo genere: “tutti i pazienti escono sani dagli ospedali”), i ragazzi fumano nei bagni (questo è vero, ma quando andavo a scuola io alcuni professori fumavano in classe e gli studenti, me compreso, fumavano tranquillamente nei corridoi, impuniti perché prassi). Augias, nelle lettere sopra citate, dice che un suo amico professore gli ha riferito che a scuola non si studia più l’analisi grammaticale (verificare le adozioni dei libri di testo no, eh!). E potrei continuare.
Purtroppo non sono scevre di vanverismi anche testate che si occupano di scuola. La tecnica della scuola e Orizzonte scuola, ad esempio, pubblicano costantemente lettere dei lettori (beninteso anche le mie), quasi sempre insegnanti, che troppo spesso sono banali recriminazioni dense di ingenuità segno di una scarsa professionalità acquisita. Lo fanno, comprensibilmente, per dare la parola e visibilità a tutti ed essere ripagati da lettori soddisfatti di poter esprimere il proprio punto di vista, quale che esso sia, su testate molto lette, quindi prestigiose. Naturalmente questa varietà di punti di vista, almeno, ha il pregio di non comprimere la libertà di pensiero. Questi colleghi, incapaci di inserirsi entro le dinamiche della scuola di massa (leggerete negli articoli collegati del passaggio a percentuali bulgare di frequenza anche nella scuola superiore, mentre la mia generazione aveva espulso “gli svogliati”), naturalmente santificano gli alfieri della conservazione come, a titolo di esempio, Paola Mastrocola (La scuola raccontata al mio cane e seguenti, al quale ho opposto con diversi colleghe e colleghi Pensieri sottobanco. La scuola raccontata alla mia gatta per Erickson), Adolfo Scotto Di Luzio (Senza educazione. I rischi della scuola 2.0, Il Mulino) e Lucio Russo (Segmenti e bastoncini nel contesto della didattica della matematica, per Feltrinelli) e, più frequentemente di altri, sono preda di burnout (si vedano i lavori di Vittorio Lodolo D’Oria sul tema). Sempre Marco Bollettino, in un articolo ironico (Guida pratica su come diventare insegnante nella scuola senza vincere un concorsosu Le parole e le cose), ci spiega infatti come si diventa insegnanti e, sul tema, ho dato un piccolo contributo anche io su Gessetti Colorati nel quale illustro come una parabola che si era conclusa positivamente con la focalizzazione di un obbiettivo e il suo ottenimento grazie al raccordo tra formazione iniziale e assunzione (l’acronimo è FIT, Formazione Iniziale e Tirocinio) è stata recentemente vanificata perché è politicamente molto più facile accondiscendere che costruire. Un esempio lampante è quello dell’incapacità di ragionare attorno alla questione dell’immissione implicita nell’alveo delle aspettative che diventano diritti acquisiti tramite il precariato scolastico. Non si parla da nessuna parte, tranne che negli uffici di presidenza delle scuole dove si rilevano code di genitori inferociti di fronte ad insegnanti inadeguati. Non insegnanti severi, pretenziosi, classici. Inadeguati alla relazione sana e adulta cogli adolescenti (o i bambini nel primo ciclo di istruzione). Innovazioni in questo segmento contribuirebbero a filtrare i problemi di avanzamento per tapis roulant evidenziati dal contributo già citato di Marco Bollettino, potando gli incapaci all’inizio di carriera, quella che poi è impossibile fermare più tardi.
Come mostra la figura 1, la lezione frontale tanto amata da Massimo Recalcati è in grado di addormentare anche persone adulte, selezionatissime e non certo assimilabili ai giovani di oggi (si tratta di una lezione universitaria a Bologna nel 1350, opera di Laurentius de Voltolina), mentre la figura 2, quella che riporta i consigli di Gianni Rodari, si riferisce ai figli immediatamente precedenti la mia stessa generazione. Mi si conceda una breve nota autobiografica: ho cominciato a perdere il dono della sintesi che mi ha attanagliato nella scrittura dei temi scolastici non appena ho finito la scuola e ho cominciato a scrivere scenari per giochi di ruolo (Il castello del lago, opera ormai introvabile perché diffusa col ciclostile e Il ritorno di Log, entrambi scenari fantasy).
Un(’)insegnante consapevole deve avere approfondito le tematiche relative alle dinamiche di gruppo (che deve gestire in classe e tra i pari), alla psicologia dell’età evolutiva, alla didattica della disciplina, al CLIL, all’intercultura, all’italiano L2, alle tecnologie nella didattica, all’inclusione scolastica (dai bisogni educativi speciali alla disabilità, passando per i disturbi specifici di apprendimento), alla psicologia dell’apprendimento e dell’attenzione, alla metacognizione, alle neuroscienze, etc. E in tutti questi contesti deve vederne le relazioni.
A mero titolo di esempio, mi permetto di riportare alcuni risultati di ricerche del prof. F. U. Benso, dell’Università di Genova che in un seminario per insegnanti ci ha spiegato come l’attenzione focalizzata sfugga una volta ogni 40/50 secondi. Quando ho frequentato la SSIS avevo appreso che l’attenzione poteva essere sostenuta per 40 minuti (sui quali sono organizzate le lezioni universitarie), e consapevole di questo risultato, per indurre metacognizione sul tema, ho calcolato coi miei studenti quante volte avrei dovuto riprenderli se non fossero autonomi nel riportare la loro attenzione sul filo logico del discorso dell’insegnante: 25 studenti x 60 minuti x 60 secondi / 45 secondi = 2000 volte l’ora. Questo significa che, disponendo un’ora di 3600 secondi, dovrei interrompere la lezione frontale ogni 1,8 secondi. Naturalmente la lezione frontale, tanto cara a Recalcati, non è l’unica possibile. Quest’anno, mi si perdoni il riferimento autobiografico, ho avuto una soddisfazione immensa da una madre di un ragazzo con DSA che mi ha riferito che il figlio le ha detto che “con il metodo del prof. Fasce è impossibile non imparare”. Non ho segreti e svelo la procedura: suddivido i ragazzi per gruppi e li faccio lavorare con consegne. Possono essere omogenei o eterogenei, dipende dallo scopo che mi prefiggo. Poi giro tra le isole di lavoro (e fanno la stessa cosa l’insegnante di sostegno e l’educatore che non sono posteggiati a prendere appunti, ma parte attiva dell’azione didattica) e fornisco feedback a più non posso. Li fornisco io, li forniscono i colleghi in classe, se li forniscono tra loro. Ad un convegno Erickson, il prof. Calvani ha spiegato che non esistono prove di pratiche didattiche orientate alle intelligenze multiple che si siano rivelate efficaci (secondo la filosofia dell’evidence based), ma il feedback è importantissimo ed è ovviamente impossibile nella lezione frontale in classi non diffusamente motivate (quindi ovunque, checché se ne dica). In carriera mi è capitato di avere studenti che mi chiedevano di fare lezione. Il motivo era ovvio: così potevano distrarsi, dormire, farsi i fatti loro, mentre nei gruppi di lavoro erano costretti a lavorare. In ogni evento formativo che mi capita di erogare, spiego sempre come non occorrano investimenti statali per cambiare la posizione dei banchi: da teatro a isola.
Come ho scritto più sopra, ho perso il dono della sintesi da quando scrivo di cose che mi appassionano e posso solo farne una lapidaria: diffidate del vanverismo pedagogico.