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Subito l'alleanza per i nuovi nidi

Chiara Saraceno

11/12/2020
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La Stampa

I servizi per i bambini in età prescolare non devono essere intesi solo o principalmente come strumenti di conciliazione famiglia-lavoro per le loro madri. Non solo perché le responsabilità di cura dovrebbero riguardare anche i padri, ma perché questi servizi devono avere come obiettivo principale, anche se non esclusivo, l'accompagnamento allo sviluppo dei bambini fin dalla tenera età e il contrasto alle disuguaglianze che lo vincolano per molti, troppi bambini. Vale per le scuole dell'infanzia, ma vale anche per i nidi e per quei servizi, come i centri bambini e genitori, che aiutano i genitori ad esserlo nel miglior modo possibile.

Un'ampia letteratura internazionale mostra l'importanza dei primi anni di vita per lo sviluppo futuro e il ruolo cruciale, accanto alla qualità della relazione genitoriale, di esperienze e rapporti educativi extra-familiari. Importanti per tutti, lo sono di più per i bambini in condizione di svantaggio, contribuendo a compensarlo in modo significativo e duraturo, a livello cognitivo, di stabilità emotiva e di capacità di resilienza.

Per questo Alleanza per l'Infanzia, insieme alle altre nove reti di associazioni riunite in educAzioni, ha preparato un rapporto a favore dei diritti dei bambini a buone pari opportunità educative fin dalla prima infanzia: «Investire sull'infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente». Sulla base di una analisi dettagliata delle informazioni disponibili, il Rapporto chiede un forte impegno finanziario e organizzativo per portare in tre anni il livello di copertura dei nidi a finanziamento pubblico almeno al 33% a livello regionale, rendendoli gratuiti, e per estendere il tempo pieno, con mensa, in tutte le scuole dell'infanzia: due obiettivi del tutto mancanti nel capitolo sull'istruzione della bozza di piano per il fondo Next Generation Eu, dove si parla di aumento dei nidi solo in termini di sostegno alla conciliazione lavoro-famiglia e con una previsione di risorse assolutamente inadeguata.

Come è noto, l'Italia ha un tasso di copertura dei nidi molto ridotto – 25% tra nidi pubblici e privati - e fortemente disomogeneo a livello territoriale, con le regioni meridionali, dove è maggiormente concentrata la povertà minorile quindi maggiore sarebbe il bisogno di servizi di questo genere, che presentano i tassi più bassi. Inoltre, stante la loro prevalente definizione come strumenti di conciliazione famiglia-lavoro, e il razionamento imposto dalla loro scarsità, i nidi pubblici o a finanziamento pubblico di fatto non hanno posto per i bambini con un solo genitore (o nessuno) occupato, una situazione che spesso si accompagna a una bassa istruzione. E i nidi privati hanno un costo inaccessibile per queste famiglie. Vengono, quindi, di fatto esclusi da un servizio educativo fondamentale proprio i bambini che ne trarrebbero maggior vantaggio. Non vale, per loro, il dettato costituzionale che impone di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della personalità.

La situazione delle scuole dell'infanzia è molto migliore, con una copertura quasi universale. Ma anche in questo caso si rileva una forte disomogeneità territoriale, con una incidenza sostanziosa di scuole per l'infanzia a tempo parziale e senza mensa nelle regioni meridionali (come avviene anche per la scuola dell'obbligo). Inoltre, vi è un 20% di bambini stranieri (a fronte del 6% di autoctoni) che non frequenta per nulla, nonostante la frequenza della scuola per l'infanzia sia ormai un prerequisito atteso per un buon inserimento nella scuola elementare. Stante gli effetti negativi che ciò può avere sul curriculum scolastico successivo, è un dato che non può essere ignorato o sottovalutato dai policy makers. Il Rapporto quindi chiede sia la generalizzazione del tempo pieno, sia l'abbattimento del costo della mensa (in accordo con il Garante per l'Infanzia), sia la promozione della frequenza presso le famiglie straniere.Il costo stimato per arrivare a questi obiettivi è di circa 4,8 miliardi in conto capitale (che dovrebbero gravare sul fondo Ngeu), e di altri 2,7 miliardi di spesa corrente, quasi tutti destinati all'incremento dei nidi. Per arrivare anche alla gratuità di questi ultimi, la spesa corrente aumenterebbe di altri 1,350 milioni. Troppi? Dipende dai valori e obiettivi che ci si pone. In un Paese della cui bassa natalità ci si preoccupa quotidianamente non dovrebbe potersi permettere di non investire nei suoi più piccoli, contrastando le disuguaglianze che ne riducono le possibilità di sviluppo. Inoltre, il rapporto stima che un investimento di questo genere farebbe aumentare di almeno 47.000 unità circa i buoni, qualificati, posti di lavoro, che non è azzardato ritenere saranno ricercati soprattutto da donne, con ciò contribuendo ad innalzare il tasso di occupazione femminile. —


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