Straniero un alunno su dieci “Per loro pochissime iniziative e i docenti li sceglie la Curia”
Gli studenti non cristiani triplicati dal 2001. E le confessioni reclamano nuovi programmi
VLADIMIRO POLCHI
ROMA
— Cattolici, ortodossi, protestanti e giovani musulmani. La scuola italiana è “politeista”. Tra i banchi si moltiplicano le nazionalità e le religioni professate. Tutta colpa dei “nuovi italiani”: quell’esercito di 755.939 figli di immigrati che frequentano regolarmente gli istituti scolastici del nostro Paese. Per questo le altre confessioni chiedono che dall’ora di religione si passi all’ora di storia delle religioni.
La scuola multietnica è fotografata dai numeri: su poco meno di otto milioni di studenti, nell’anno scolastico 2011/2012 sono 755.939 gli alunni con cittadinanza non italiana (quest’anno dovrebbero sfiorare il tetto degli 800mila). Di questi, il 44,2 per cento è nato in Italia (334.284). Una crescita costante: basta pensare che dieci anni fa gli studenti d’origine straniera si fermavano a quota 196mila.
Da dove vengono? In testa i romeni (126mila), seguiti da albanesi, marocchini, cinesi e moldavi. Di che religione sono? Più difficile saperlo. Stando ai dati del dossier Caritas-Migrantes, tra i quasi cinque milioni di immigrati residenti in Italia, il 53,9 per cento è cristiano (in gran parte ortodosso), il 32,9% è musulmano, il 2,6% induista, l’1,9% buddista, lo 0,1% ebreo, il 4,3% ateo. Una proporzione che stando
al dossier può reggere anche tra i banchi di scuola, dove anzi la componente musulmana potrebbe crescere «visto che molte donne dell’Europa dell’Est, impiegate come badanti o colf, non portano in Italia i propri figli».
Di fronte a una scuola multiconfessionale, l’ora di religione “parla” ancora solo cattolico. «È invece giusto che l’istruzione pubblica si apra anche alle altre confessioni professate dagli studenti
che la frequentano — sostiene Fabrizio Pizzi, docente di pedagogia interculturale all’università di Cassino — nella fase di crescita dei ragazzi è infatti indispensabile offrire loro una formazione completa. E tutto questo nell’ottica dello scambio interculturale, che oggi non è più solo un’opportunità, ma una necessità». Non mancano sul territorio esperimenti in tal senso. Sei licei torinesi hanno avviato un progetto, elaborato dalla Consulta Laica, che prevede come materia alternativa all’ora di religione un corso di “Storia delle religioni e del libero pensiero”: uno studio aconfessionale, cioè che «non assume la prospettiva o le finalità di una singola religione, il che è assai di-
verso — tengono a precisare gli organizzatori — da uno studio interconfessionale, dove ciascuno parla della propria fede».
«Bisogna far cadere l’ipoteca confessionale — concorda Giuseppe Platone, pastore titolare della Chiesa valdese di Milano — valorizzare l’ora alternativa, rivedere il metodo curiale di reclutamento degli insegnanti e trasformare l’ora di religione in storia delle religioni, come facciamo noi valdesi nelle scuole parificate». E i musulmani che cosa dicono? «L’ora di religione è figlia del Concordato — risponde Izzeddin Elzir, presidente dell’Ucoii (Unione comunità islamiche d’Italia) — noi chiediamo che accanto a questo diritto acquisito si faccia un’ora di dialogo interreligioso, per far conoscere ai nostri bambini le culture, non solo religiose, di tutti quanti. Perché la diversità è una ricchezza che non andrebbe cancellata».