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Stampa-Scuola, il mito aziendalista e la realtà didattica

LA RIFORMA SECONDO IL MINISTRO MORATTI Scuola, il mito aziendalista e la realtà didattica DAL 19 al 20 dicembre si svolgeranno gli Stati generali della scuola italiana voluti dal mini...

30/11/2001
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La Stampa

LA RIFORMA SECONDO IL MINISTRO MORATTI
Scuola, il mito aziendalista e la realtà didattica

DAL 19 al 20 dicembre si svolgeranno gli Stati generali della scuola italiana voluti dal ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. Di cosa si parlerà? Probabilmente, dicono i giornali, della nuova riforma cui ha lavorato una commissione di esperti. In primo piano c'è la diversa suddivisione degli anni di corso tra scuola primaria (8 anni) e licei e istruzione professionale (4 anni), con un esame di accesso all'università, e corsi di recupero per i bocciati. Inoltre, si parlerà del contemporaneo varo di istituti di formazione tecnica superiore. Qualcuno ha scritto che in definitiva il progetto del nuovo governo non è molto diverso da quello della riforma Berlinguer-De Mauro. Ma è davvero questo il problema centrale della scuola italiana? Era necessario buttare all'aria una riforma già avviata per presentare un progetto che non se ne distanzia poi di molto? Nel mondo della scuola, tra gli insegnanti, gli studenti e anche i genitori, domina un forte senso di estraneità rispetto ai cambiamenti strutturali in corso. La maggior parte di chi ogni giorno svolge questo lavoro, o frequenta una delle moltissime scuole italiane, ha la sensazione che la classe politica sia lontana, assente, refrattaria. L'impressione dominante è che la riforma della scuola - anche quella di Berlinguer - passerà sulla testa dei più. Gli insegnanti che oggi hanno più di quarant'anni, la maggior parte di quelli in ruolo, sono scontenti; si sentono trascurati, mal pagati, poco considerati. Il problema fondamentale è che queste riforme, per quanto necessarie, nascono senz'anima, senza un dibattito culturale che le abbia precedute e indirizzate, condiviso nel bene e nel male dai più o, se non altro, dalle minoranze attive della scuola. Se la riforma Berlinguer era il risultato di un'onda lunga di cambiamento iniziata negli anni 60 ed esauritasi all'inizio dello scorso decennio, quella prospettata da Letizia Moratti nasce senza avere dietro di sé alcuna cultura, alcun dialogo o esperienza concreta sul piano nazionale. Non ha un retroterra né didattico né pedagogico e, se questo è un vantaggio sul piano della libertà progettuale (non ha vincoli o preconcetti), sul piano culturale è una vera tragedia. Da quello che si sa leggendo le interviste del ministro, vedendolo apparire a fianco di Maurizio Costanzo, si è capito che punta all'efficienza, a una forma di aziendalismo, che però fa decisamente a pugni con la realtà pedagogica e didattica della nostra scuola, un organismo delicato e complesso, radicalmente diverso da una azienda commerciale o industriale. Neppure le "tre I" (inglese, Internet, impresa), parola d'ordine del Polo nella campagna elettorale, sembrano un programma culturale in grado di suscitare energie ed entusiasmi nella classe docente e discente. Cosa succederà è difficile dirlo. Si spera che almeno la voglia di ottenere un riconoscimento dei media, della televisione e dei talk-show non spinga a una fretta e un entusiasmo momentanei lasciando del tutti irrisolti i problemi di fondo che necessitano invece di tempo, fatica e molta pazienza, oltre a un progetto culturale degno di questo nome.
Marco Belpoliti


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