FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3902897
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Spesa per ricerca ai minimi Così l’Italia non innova più

Spesa per ricerca ai minimi Così l’Italia non innova più

Per Bankitalia il ritardo si deve alle difficoltà di finanziamento

01/06/2013
Decrease text size Increase text size
La Stampa

ROSARIA TALARICO ROMA


Pochi capitali, pochi brevetti, poca ricerca e sviluppo. La diagnosi di Banca d’Italia sulla situazione delle imprese italiane è impietosa. «Le determinanti del ritardo innovativo dell’Italia vanno ricercate in alcune caratteristiche del sistema produttivo e finanziario privato» si legge nella relazione annuale di Bankitalia «e nella difficoltà del settore pubblico di creare un contesto istituzionale e regolamentare favorevole all’innovazione e di sostenere direttamente l’attività innovativa». Inoltre il 40 per cento circa della spesa in ricerca e sviluppo è effettuata dal settore pubblico. Una produzione scientifica che non sfigura nel confronto con altri paesi, sebbene le nostre strutture universitarie siano meno presenti nelle posizioni di eccellenza delle principali graduatorie internazionali. Ma nonostante i recenti progressi, la collaborazione tra il sistema di ricerca pubblica e il settore privato è scarsa.

«Gli incentivi pubblici all’innovazione delle imprese hanno conseguito risultati modesti. La loro efficacia ha risentito negativamente della frammentazione degli interventi, dell’instabilità delle norme e dell’incertezza sui tempi di erogazione». Un parametro per misurare l’innovazione è il numero di brevetti. Nel 2010 le domande depositate presso l’Ufficio europeo dei brevetti (European patent office, Epo) erano pari per l’Italia a 7,4 per 100 mila abitanti, molto meno che in Francia (13,5), Germania (26,7) e Svezia (30,8). Il ritardo è più attenuato per i marchi e, soprattutto, per i disegni industriali. Altro problema è la ridotta dimensione aziendale, che caratterizza il sistema produttivo italiano nel confronto con gli altri principali paesi e «riveste un ruolo più rilevante della specializzazione settoriale nel limitare l’attività innovativa». Più piccola è la dimensione, più difficoltoso è sostenere gli elevati costi fissi connessi con l’avvio di progetti innovativi; inoltre la minore propensione all’esportazione delle piccole e medie imprese «riduce ulteriormente l’incentivo a investire in innovazione che deriva dalla possibilità di ripartire tali costi su un maggiore volume di vendite».

Le aziende familiari inoltre hanno un peso più elevato nell’economia italiana rispetto agli altri principali paesi europei. Quelle a proprietà e gestione completamente familiare rappresentano il 59 per cento del totale delle imprese in Italia, contro il 18 in Francia e il 22 in Germania. Tali imprese si caratterizzano per una minor propensione all’attività di ricerca e sviluppo rispetto alla media poiché «la sostanziale coincidenza tra il patrimonio aziendale e quello della famiglia proprietaria può ridurre la disponibilità a intraprendere progetti rischiosi».

E poiché l’accesso al credito bancario è sempre più complicato ricorrere al capitale azionario aumenterebbe considerevolmente l’attività innovativa delle imprese, «l’emissione di azioni accrescerebbe in Italia la probabilità di svolgere attività di ricerca e sviluppo di circa un terzo».

La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL