Sperimentazioni ministeriali che parlano d'altro. Per nuove e diverse priorità
L’interrogativo che mi piacerebbe ci ponessimo, come uomini e donne di scuola e come persone interessate alle cose scolastiche, è se il gran parlare che si fa di meritocrazia e premialità possa aiutarci a costruire una scuola migliore
Antonio Valentino
Dio solo può sapere se la sperimentazione di cui ha bisogno la scuola italiana debba avere come obiettivo prioritario quello di premiare gli insegnanti migliori.
L’interrogativo che mi piacerebbe ci ponessimo, come uomini e donne di scuola e come persone interessate alle cose scolastiche, è se il gran parlare che si fa di meritocrazia e premialità possa aiutarci a costruire una scuola migliore. Perché, il senso e l’obiettivo di tutti i nostri ragionamenti credo si possano riassumere in “cosa fare e come fare per cercare di superare le criticità più vistose del nostro sistema”.
Se uno chiedesse oggi a un Dirigente Scolastico - ma anche a tanti insegnanti avveduti - quale dovrebbe essere la prima mossa per garantire ai consigli di classe e al funzionamento didattico risultati più positivi, penso che, tra le risposte che ci si potrebbe aspettare, le più “gettonate” (oltre ovviamente a quella di percorsi di carriera più remunerativi), sarebbero le seguenti: favorire lo sviluppo di professionalità più preparate ed esperte e più consapevoli (soprattutto del fatto che la scuola è diventata “di massa” e che questo richiede trasformazioni profonde nei contenuti e nei modi di fare scuola); ma, anche, liberare le scuole dal personale inadatto all’insegnamento.
Risposte che comportano almeno tre cose importanti e legate tra di loro: un reclutamento accorto
del personale, un investimento sulla formazione e lo sviluppo professionale, forme trasparenti
di valutazione delle performance essenziali dell’insegnamento (tenuta d’aula, promozione degli
apprendimenti, pratiche valutative eque e formative).
Cose, si dirà, “risapute e stanche”. Ma che stanno ancora lì.
Comunque, se conveniamo almeno sulla prima priorità richiamata (tralasciamo qui la seconda, per
ragioni facilmente comprensibili), resta da capire se gli obiettivi delle sperimentazioni ministeriali
per premiare i “bravi” c’entrino, almeno in questa fase, con i miglioramenti necessari per dare
vitalità al nostro sistema di istruzione e muovano qualcosa in questa direzione.
A rileggere i documenti ministeraili sulle due sperimentazioni, i rilievi critici che ne emergono
non riguardano tanto i termini (il che cosa e il come) delle due proposte (sui cui meccanismi tanti
e tante scuole, tra l’altro, hanno espresso diffusa contrarietà), quanto piuttosto la filosofia che c’è
dietro: tutta “imbragata” – almeno così a me sembra - di ideologia meritocratica e di premialità di
profilo ambiguo. E quindi poco attenta a cogliere ciò di cui la scuola ha effettivamente bisogno
oggi per rinnovarsi e innovare.
Infatti, l’obiettivo di cui si parla per queste sperimentazioni ( studiare come identificare sia quelle
scuole che presentano un “valore aggiunto” più elevato rispetto alle altre, sia “quegli insegnanti
sulle cui capacità umane e professionali nessuno ha da discutere”), per quanto collocato dentro un
discorso apparentemente ambizioso, non sembra corrispondere a nessuna delle necessità del sistema scuola in questa fase. E’ altra cosa. E tra gli effetti possibili ci vedo in primo luogo quello di essere distorsivo/diversivo rispetto a obiettivi di coinvolgimento e motivazione del personale sui temi del rinnovamento. Anzi. Penso che possano risultare addirittura controproducenti sul clima interno di scuola. Almeno sotto il profilo delle relazioni interpersonali e le necessarie collaborazioni di cui vive un proficuo lavoro docente. Ma già altri sono intervenuti su questi aspetti.
Non è il caso di ribadire che le considerazioni svolte non sono dettate da ‘pregiudizi’ di segno
negativo verso la valutazione del lavoro docente, come di tutti gli altri lavori scolastici (a partire,
ovviamente, da quello del dirigente); che anzi essa è fondamentale per qualsiasi organizzazione.
L’interrogativo oggi è se la valutazione prevista dalle sperimentazioni ministeriali sia in questa fase
lo strumento più adatto per motivare docenti e scuole all’impegno su terreni di qualità, attraverso
premi una tantum e i meccanismi previsti; oppure no.
Siccome non riesco a vedere una risposta positiva, cerco di portare oltre il ragionamento.
Recuperando comunque in esso sia la modalità operativa della sperimentazione, ma con altri
contenuti e finalità, sia le misure premiali, come strumento per riconoscere professionalità e lavoro,
ma con una logica diversa.
Lo metto sotto forma di domanda: non è forse più opportuno oggi chiamare le scuole a
sperimentare e sperimentarsi su cose più stringenti e più legate alle questioni che dovremmo (parlo qui delle Superiori) affrontare e che dovrebbe essere compito dell’Amministrazione sollecitare e promuovere?
Per esempio: su come ragionare in termini di competenze nella progettazione e nella pratica
didattica; su come costruire i dipartimenti per superare finalmente la separatezza delle discipline di
asse; su come attrezzarsi perchè la certificazione delle competenze per i nostri ragazzi del biennio
(che dovremmo affrontrare a giugno prossimo per la prima volta); su come ci prepariamo alle prove
INValSi del prossimo maggio, ormai obbligatorie per tutti; su come garantire equità e trasparenza e
valenza formativa alle procedure valutative.
Non è più opportuno, in questa fase, esercitarsi su queste cose, sperimentare queste cose?
Certo, ci vorranno linee guida, il supporto di esperti e studiosi, modelli credibili e coerenti col
principio della trasparenza, della rendicontazione del proprio operato e dei suoi risultati. Che è un
po’ l’”armamentario” previsto anche per le due sperimentazione ministeriali.
Su questo vorremmo che il Ministero, attraverso Comitati Tecnico Scientifici e strutture di
supporto, chiamasse le scuole a pensare e sperimentare.
A questo tipo di impegno e ai risultati migliori vorremmo che l’Amministrazione destinasse le
risorse finanziarie previste. Vorremmo che si potesse dire alle scuole che ai docenti impegnati
sulle priorità individuate si danno non solo supporti organizzativi e professionali, ma anche soldi
per premiare il lavoro di ricerca e la qualità delle risultati.
E’ questa la premialità che vorremmo si incoraggiasse, perché potrebbe fare bene ai nostri Istituti.
Il punto che dovrebbe comunque essere ben saldo è che nelle professionalità della scuola non sono ammessi livelli di competenze scadenti e che la premialità va collegata a prestazioni aggiuntive e ai risultati connessi, soprattutto sul terreno della ricerca-azione e della sperimentazione di proposte che sviluppino e favoriscano motivazione e protagonismo diffuso.
Un’ultima considerazione.
L’ANDIS di Milano, su queste sperimentazioni ministeriali, dopo una corretta analisi, attenta a
cogliere aspetti positivi e negativi, suggerisce, con riferimento alle criticità del modello proposto,
una via d’uscita i cui termini si riportano testualmente: “Le risorse stanziate per i ‘premi’
potrebbero essere utilizzate nella sperimentazione per compensare l’impegno della scuola e
dei docenti che aderiscono volontariamente. Perché un collegio dovrebbe aderire al progetto
sperimentale quando il ‘premio’ riguarderà solo alcuni? Sarebbe invece utile sperimentare la
valutazione dei docenti, all’interno della valutazione delle scuole, coordinando meglio i due
progetti.”
Ma - mi chiedo - con questo tipo di proposta, non siamo ancora dentro un’agenda tutta ministeriale
delle priorità e in una logica di fatto subalterna a una visione ideologica dei problemi che
ci affliggono e delle loro soluzioni? Siamo sicuri che l’intreccio complementare delle due
sperimetazioni previste (per premiare i docenti e le scuole) ci porterà – come nel documento
si prevede - ad affrontare in modo sensato e corente le questioni vere della riforma? La
concatenazione proposta (che tradurrei, se non ho capito male, in questi termini:“valutiamo le
scuole e quelle che risulteranno premiate distribuiranno i premi tra i ‘bravi’ da individuare secondo
i criteri ministeriali”) non pone a sua volta altri interrogativi? Cosa ne facciamo, per dirne una,
dei “bravi” delle scuole non premiabili? Non saranno gratificati solo perché operano, forse con
maggiori meriti, in scuole un po’ più scalcinate?
Ritengo invece che questa proposta ANDIS sarebbe molto più sensata e interessante – e concreta
– se la si ancorasse ai ragionamenti che ho cercato di svolgere sia sulle priorità (e le modalità
operative delle sperimentazioni da mettere al centro del lavoro delle scuole), sia sul senso da dare
ad una idea di premialità che non sia svilita da preminenti preoccupazoni meritocratiche.
O no?