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Spending review Stangata sugli studenti fuori corso

Pagheranno fino al doppio. Salta il taglio di 30 milioni alla ricerca. Anche Bankitalia dovrà stringere la cinghia

28/07/2012
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La Stampa

Raffaello Masci

Gli studenti che vanno fuoricorso pagheranno fino al doppio delle tasse universitarie, a meno che non siano studenti-lavoratori. È questo un elemento di moralizzazione che viene introdotto nel nostro ordinamento scolastico dove non è possibile ripetere la maturità più di due volte ma è possibile bighellonare all’università «sine die». I fuori corso sono oltre 600 mila (su un milione e 700 mila universitari) costituiscono un costo pesante per gli atenei e, come ha detto la scorsa settimana il ministro Francesco Profumo, «sono una specificità solo italiana». Ogni anno, dice l’emendamento approvato in commissione Bilancio al Senato, il ministro dell’Istruzione emana un proprio decreto per stabilire gli aumenti di tasse a carico dei fuoricorso (non lavoratori, è bene ripeterlo), ma la spending review, per intanto, fissa dei paletti: tasse raddoppiate a chi proviene da una famiglia con oltre 150 mila euro di reddito, aumento del 50% per chi ha 90 mila euro di reddito e del 25% per gli altri. Inoltre l’aumento sarà progressivo: poco se si sfora di un anno, maggiore se si va oltre. Ma comunque passa il criterio che - così come accade per il liceo e per ogni altro ordine di scuola anche l’università si deve concludere entro tempi dati, altrimenti si paga una penale. E - a questo punto - va restituito l’onore al sottosegretario Martone che aveva dato dello «sfigato» a chi si laureava a 28 anni. La norma ha fatto imbufalire varie associazioni di studenti e alcuni illustri rettori, ma tant’è.

Sempre per l’università e la ricerca viene confermato il ripristino dei 30 milioni precedentemente tagliati alla ricerca, e si introduce - per iniziativa del senatore Giuseppe Valditara del Fli - un elemento di rigore nelle retribuzioni dei docenti universitari i quali, quando tornano all’insegnamento dopo aver ricoperto un incarico in un ente pubblico, non si potranno più portare dietro l’indennità maturata in quell’incarico, ma si dovranno accontentare del loro stipendio di professore. Tra le istituzioni culturali che rischiavano di chiudere, sono stati salvati grazie a un emendamento di Vincenzo Vita del Pd - il Centro sperimentale di cinematografia, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi e la Cineteca nazionale.

È stata rivista, invece, la formulazione relativa alle province, dove non si parla più di soppressione, che avrebbe comportato problemi di costituzionalità, ma di riordino. Nella sostanza la misura resta quella che era ma, secondo i relatori, l’espressione «riordino delle province» fa intendere il fatto che tutte saranno oggetto di esame e non si tratterà solo di tagliarne alcune e salvarne altre. Restano confermati i criteri di popolazione e di estensione territoriale, mentre ci sarà un po’ più di tempo per decidere su accorpamenti e fusioni, non più 40 ma 70 giorni entro cui il Consiglio delle autonomie di ciascuna regione dovrà presentare una proposta di «riordino» al governo, il quale risponderà e provvederà entro i successivi 20 giorni. Per Natale - insomma - tutto sarà concluso. Alle province sono stati restituiti 100 milioni di finanziamento ma non sono state salvate le province di Terni, Matera e Isernia, che scomparendo lasciano le rispettive regioni con una sola circoscrizione. È data però facoltà ai Comuni di aderire ad una provincia diversa da quella attuale, purché limitrofa.

È stato anche ridotto il taglio previsto per le farmacie ma ancora non basta e Federfarma, l’organizzazione di categoria, ha proclamato «nuove forme di protesta». Il taglio «non va ridotto - ha detto la presidente dei farmacisti Annarosa Rocca - va eliminato». Il provvedimento potrebbe essere rivisto ancora uan volta prima del passaggio in aula.
 


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