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Sparisce l'interrogazione. I ragazzi non parlano più

Gli effetti della riforma Gelmini. Meno ore e più studenti per classe, non c’è più tempo per le verifiche orali. I danni inferti ad una generazione

04/04/2011
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l'Unità

Fabio Luppino

Non so come fare. Ho meno ore, non riesco a sentirli più. Ormai per il voto orale devo fare dei compiti scritti. L’anno scorso ne avevo 22, quest’anno 28. L’anno scorso avevo quattro ore di latino, quest’anno tre. Ma sono preoccupato: ogni volta che li chiamo sono sorpresi, non riescono ad esprimersi. È colpa mia? Non lo so, i miei colleghi mi raccontano le stesse cose». Uno sfogo, uno dei tanti. Della riforma Gelmini nelle superiori si è parlato in teoria. I conti con la realtà si cominciano a fare, ora, nelle scuole: sono devastanti. La generazione del monosillabo delle parole mozze, delle sigle per darsi affetto, così come si vanno forgiando invasi da facebook, a scuola trasferisce per intero l’incertezza lessicale. E non c’è tempo per rimediare. Il pittoresco Lorenzo creato da Corrado Guzzanti - che non riusciva nemmeno ad arrivarci al monosillabo, ma un rumore contorto usciva dalla sua voce per comunicare- è stato ampiamente superato, anche se la figura resta profetica visto che la parodia vide la luce ben prima dell’esplosione dei social forum. Nei licei la riduzione oraria è solo nelle prime classi. Negli altri istituti superiori è a regime in tutte e cinque le classi. Fece storia e svelò un problema fino ad allora rimosso, la dislessia, il libro «Mio figlio non sa leggere» di Ugo Pirro. I figli oggi faticano a parlare. La riforma è l’ultimo colpo agli adolescenti «senza parole». Stretti traprogrammi e scadenze i professori non ce la fanno. E vai con scritti all’americana, con risposte a scelta multipla. Storia, scienze, matematica, inglese. L’interrogazione alla lavagna è l’eccezione, il sacro terrore, l’evento rimosso da professori e studenti. Non c’è tempo. Quando poi gli insegnanti di lingue non scoprono che le parole non dette, sono parole sconosciute in italiano, figuriamoci in inglese o francese. Così avviene non di rado che si entra nella terra di nessuno quando si usano termini come rada, penuria, rurale, concernere, circoscrivere. Di recente denuclearizzare... Ogni prof ha la sua esperienza da raccontare. Ogni famiglia, anche. Chi percepisce il danno di qualità di un’istruzione così ridotta cerca di tamponare con le ripetizioni private. Non finisce qui, però. L’esperienza del preside reggente (un preside che si occupa di due scuole spesso diverse, un tecnico o un professionale, uno scientifico e un industriale) sta dequalificando la scuola. Il problema era noto, ma il governo non lo ha affrontato. Gelmini fa sapere che il concorso per nuovi presidi si farà. Ma dall’indizione al suo compimento passeranno almeno due anni. Nel frattempo le scuole perdono credibilità. Un capo d’istituto diviso in due è come un comandante che tura le falle mentre la nave affonda. Così alcune scuole hanno visto drastiche contrazioni di iscrizioni. I genitori osservano e decidono: se in un liceo si esce prima, si entra dopo perché i supplenti non possono essere chiamati a sostituire i prof mancanti le famiglie vanno via da quella scuola. Si capovolge la causa con l’effetto. Il ministero ha lasciato le scuole senza soldi per questo come per molte altre cose: chi ha potuto ha alzato il contributo volontario. Chi può, perché in moltissimi contesti già marginali socialmente le famiglie il contributo (non obbligatorio per nessuno in linea di principio) non lo possono pagare. Così la scuola pubblica va a rotoli, lentamente ma inesorabilmente. E il danno che supera tutti gli altri è la perdita di senso. Il messaggio complessivo con le opportunità di emergere ridotte all’osso cancella l’«utilità» del farsi un’istruzione, come si diceva una volta. Nelle case non si parla più di futuro. E allora anche i ragazzi si chiedono sempre più spesso, studiare a che serve?


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