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“Sono diverso, non sbagliato” E il tema mette a tacere i bulli

Il compito di un 12enne sulla sofferenza nel sentirsi deriso viene letto alla classe: dai compagni arrivano le scuse

04/06/2017
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Gustavo Moreno

A Ivan piace cantare. Canta appena sveglio, canta in auto mentre la mamma o il papà lo accompagnano a scuola, canta a casa il pomeriggio in attesa che i genitori tornino dal lavoro. Ma la sua voce squillante disturba i maschietti della sua e di altre classi, già alle elementari. Cantare «è roba da femmine».

Ivan non gioca al calcio. Non tifa nemmeno per la Juventus o l’Inter. Quando alle medie scoprono quant’è goffo «a ginnastica » se deve correre o saltare l’asticella, cominciano a prenderlo in giro. E cos’è questa storia di avere tante cose da condividere e da fare con le bambine e, più tardi, con le ragazzine anziché con loro, quelli del gruppo che sta diventando un po’ branco? Non è che Ivan, si confidano, sia «un omosessuale» o addirittura «un trans», qualsiasi cosa quella parola voglia dire? Ridono. Il passo è breve, qualcuno prima glielo sussurra all’orecchio, poi glielo urla in faccia: «Sei un gay!». Com’è normale nell’era dei profili social già in terza elementare, viene aperto un gruppo WhatsApp “Anti Ivan”, e pochi hanno il coraggio di tirarsi indietro. Diventa uno dei luoghi virtuali più frequentati dai ragazzi della scuola, da quelli di seconda media come lui e anche dai più grandi e più piccoli.

Il resto lo racconta Ivan nel tema in classe che consegna alla sua insegnante a fine febbraio e che Repubblica mette oggi in pagina. La traccia è “Inventa un racconto in cui sono presenti i seguenti personaggi: una vittima, un gruppo di ragazzi prepotenti, degli spettatori, un adulto. Soffermati sui dialoghi e sugli stati d’animo dei diversi personaggi. Alla base del racconto può essere un fatto realmente accaduto o un episodio verosimile. Scegli un finale che preveda uno scioglimento positivo o una soluzione negativa”. La signora Rossi (tutti i nomi di questa vicenda, per il resto vera e verificata, sono di fantasia) è una professoressa preparata e sensibile, come migliaia di altre, per fortuna, in Italia. Ha la percezione che qualcosa nelle dinamiche nella comunità di classe non funzioni, e vuole farlo emergere. Dice adesso: «Abbiamo ragazzi di provenienze e culture differenti, la convivenza va guidata. Avevo notato squilibri nei rapporti, però non avevo intuito i problemi di Ivan con i suoi compagni». La scuola ha una componente multietnica rilevante: su 18 studenti, nella classe di Ivan ci sono due ragazzini rom, un somalo, due italo-marocchine. Il bullismo nei suoi confronti è tuttavia di marca indigena (siamo in Centro Italia), non ha nulla a che fare con l’integrazione, riuscita o fallita che sia. Il quartiere è popolare, ma l’efficienza dei servizi pubblici ha convinto parecchie famiglie di ceto medio a sceglierlo per crescere i figli.

Quando, a casa, legge e corregge tema di Ivan, la signora Rossi si rende conto che quell’allievo bravissimo in matematica sta raccontando la sua storia, sei anni di gioie — le amicizie — e di delusioni — l’esclusione, la derisione, le violenze — incolonnati in quattro fogli da protocollo. La calligrafia è netta e chiara. L’episodio del pestaggio in spiaggia è una “forzatura letteraria”. Ivan condensa due eventi reali e separati, uno al parco e uno al mare: nel primo lo difende la ragazza alla pari che passa con lui ogni pomeriggio, nel secondo viene affrontato e spintonato pesantemente, ma le due amichette che lo accompagnano riescono, soprattutto a parole, a fermare i ragazzini ormai organizzati in branco. Il suicidio l’ha soltanto immaginato: ma anche immaginarlo è segno inequivocabile di una situazione fuori controllo. Un disagio che non è di Ivan, che ha il coraggio sereno di denunciarlo, ma di quella scuola e forse di tutte le scuole.

La signora Rossi fa quello che deve fare una docente di italiano: appunta a lato gli errori compiuti da Ivan («Qui usa il presente», «Attento all’uso dei tempi verbali »), poi dà i voti: 10 al contenuto, 8/9 alla forma. Quando riconsegna i lavori alla classe, chiede a Ivan se vuole leggere pubblicamente il suo, e lui ci sta, senza problemi. Comincia così, spontaneamente, quello che viene definito dalla mamma di Ivan «un percorso di formazione degli insegnanti e di attività scolastiche contro il bullismo». I risultati sono tangibili: alcuni ragazzini coinvolti negli episodi raccontati nel tema chiedono scusa. Non tutti, comunque.

Ivan ora sta meglio, aver reso pubblico il suo disagio è un passaggio per ritrovare sicurezza ed equilibrio. Quando la mamma gli chiede se è d’accordo nel pubblicare su un giornale il suo tema, risponde: «Certo, perché voglio aiutare chi ha passato brutti momenti come me». Pensa a chi s’accorge «di essere diverso ma non sbagliato», come scrive nel tema. Accade, perfino a dodici anni, di avere una consapevolezza di sé così acuta, forse perché frutto del dolore. L’importante è trovare sulla propria strada una professoressa come la signora Rossi.


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