Sole 24 ore-L'Istruzione vuole la sua economia
DI ALESSIA MACCAFERRI Ogni anno le famiglie britanniche aspettano l'Education League Tables con la stessa partecipazione che hanno verso le classifiche di calcio. I genitori spulciano i report su...
DI ALESSIA MACCAFERRI Ogni anno le famiglie britanniche aspettano l'Education League Tables con la stessa partecipazione che hanno verso le classifiche di calcio. I genitori spulciano i report sulle scuole del distretto alla ricerca di quella migliore, se non è già la prescelta, per il proprio figlio. Le rilevazioni, svolte da enti non governativi, misurano con prove oggettive gli apprendimenti dei ragazzi a 7, 11, 14, 16 anni. Poi viene pubblicata sia la classifica dei distretti sia la "pagella" per ogni istituto con i risultati per materia, il confronto con il distretto e con la media nazionale. Questo "campionato dell'istruzione" ha preso un po' la mano agli inglesi, diventati appassionati - e ossessionati - tifosi della "scuola migliore". Il Regno Unito è forse il caso limite, ma molti Paesi sentono sempre più l'esigenza di valutare con criteri oggettivi, e quindi comparabili, la qualità della scuola. Questo ambito di indagine che ne studia l'efficacia e l'efficienza ed esamina i costi e i benefici è anche una disciplina diffusa soprattutto nel mondo accademico: si chiama Economics of education, "economia dell'istruzione". In Italia è relegata perlopiù ad alcune cattedre all'interno delle facoltà di Scienze della formazione, e del resto è lontana dalla realtà l'adozione dei sistemi di valutazione. Qualità. Più volte in passato l'Ocse ha bacchettato l'Italia sull'attendibilità degli indicatori sull'istruzione. E dalle più recenti ricerche, il sistema scolastico ne esce male: secondo l'indagine Pisa il livello di competenza funzionale di lettura e matematica dei 15enni italiani è più basso della media di 32 Paesi Ocse. E il 45% della popolazione tra i 25 e i 34 anni ha lasciato la scuola senza diploma (contro il 27% della media Ue). Questo nonostante le spese annuali per studente siano superiori di circa il 10% rispetto alla media europea. Allora la qualità non è tanto un problema di risorse ma di efficienza e di efficacia, che per essere valutata deve essere misurata. Ma che cosa valutare? E soprattutto in che modo? Il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti ha istituito tre anni fa un gruppo di lavoro per la valutazione del servizio scolastico presieduto da Giacomo Elias. "Fino a due anni fa l'Italia era uno dei pochi Paesi a non aver ancora adottato nessun sistema di valutazione dell'istruzione, venivano solo condotte attività di carattere scientifico su alcuni fenomeni particolari", spiega Elias. Il gruppo di lavoro si è concentrato sull'organizzazione delle scuole e la valutazione degli apprendimenti. L'organizzazione. Il primo ambito è stato indagato attraverso l'invio di questionari a metà delle scuole italiane e prende in considerazione tutti gli aspetti organizzativi, dalla pianificazione degli orari ai corsi di recupero. Dal prossimo anno scolastico tutte le scuole potrebbero essere sottoposte a questa indagine. L'obbligo scatterà però solo con il varo del decreto delegato sull'articolo 3 della legge di riforma. Fino a oggi in Italia la valutazione delle scuole è stata affidata al ministero. "Si tratta di un'attività ispettiva non sistematica - rileva l'indagine L'Europa valuta la scuola. E l'Italia? condotta dall'associazione Treellle "per una società dell'apprendimento continuo" - spesso connessa ai fenomeni innescati dal contenzioso piuttosto che alla verifica della qualità dei processi e dei risultati". Il modello più conosciuto è quello inglese dell'Office for standards in education, che ha sostituito il tradizionale Ispettorato. L'Ofsted conduce un'azione capillare nelle scuole tramite visite condotte sulla base di modelli standardizzati. "Questo sistema è sicuramente valido ma costoso - aggiunge Attilio Oliva, presidente esecutivo di Treellle -. Noi proponiamo l'analisi delle scuole che hanno ricevuto più lamentele o che nel tempo abbiano registrato pessimi risultati". Apprendimento. Per misurare le conoscenze dei ragazzi italiani tre anni fa il gruppo di lavoro, in collaborazione con l'Invalsi (l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione) ha distribuito un questionario per verificare le conoscenze in italiano e matematica. Al progetto hanno aderito volontariamente 2.832 scuole (elementari, medie e superiori) per un totale di 15mila classi e 314mila studenti. Nell'anno scolastico successivo l'indagine è stata estesa anche alle scienze e hanno partecipato circa 7.500 istituti, mentre è in corso il terzo progetto pilota, a cui aderiscono 9.500 scuole. "Abbiamo anche elaborato una media nazionale, così le singole scuole possono valutare il loro livello - aggiunge Elias -. E l'obiettivo è estendere, dall'anno accademico 2004-2005, il progetto a tutte le scuole sia pubbliche sia paritarie". Non basta però misurare l'apprendimento degli studenti. "Bisogna introdurre anche dei criteri per i quali i risultati siano monitorati nel tempo - spiega Claudio Gentili, responsabile del nucleo Formazione e Scuola di Confindustria -. L'obiettivo è arrivare al rating dei processi formativi per singola scuola". Che dovrebbero dotarsi di piani annuali per migliorare le prestazioni e, misurandole sistematicamente, elevare progressivamente gli standard. E all'autovalutazione "è indispensabile affiancare anche strumenti di valutazione esterna" aggiunge Gentili. Docenti. Ma lo scoglio maggiore è un altro. "Non c'è nessun tipo di controllo delle performance degli insegnanti - spiega Gentili -. E andrebbero del tutto rivisti anche i criteri di accesso all'insegnamento". Proprio l'analisi del merito provocò la rivolta degli insegnanti nel 2000 che costò l'incarico di ministro a Luigi Berlinguer. Intanto il ministro Moratti ha detto che è disposta a discutere aumenti di retribuzioni legati al merito. Alcuni disegni di legge sono state presentati in Parlamento dove è stata creata una commissione ministeriale ad hoc prevista dall'ultimo contratto. "La valutazione dei docenti è un ambito molto delicato e dagli alti costi - spiega Oliva -. Il problema dovrebbe risolversi quando le scuole potranno scegliere gli insegnanti, cioè con una piena autonomia scolastica". Incentivi. La valutazione è alla base dei sistemi di rendicontazione dell'istruzione che si stanno diffondendo in tutto il mondo. "I sistemi di accountability non sono tutti uguali - spiega Enrico Gori, coordinatore del Comitato scientifico dell'Invalsi -. Ci sono quelli che agganciano ai risultati degli studenti sanzioni o premi nei confronti delle scuole, altri che rendono pubblici i risultati ottenuti dalle scuole senza ricorrere a incentivi. Infine altri che comunicano ai soli capi di istituto i risultati ottenuti". In Italia finora questi sistemi hanno solo fatto capolino nell'istruzione. Nella formazione professionale le Regioni rifinanziano solo i corsi che ottengono risultati, nelle università vengono pubblicati o dovrebbero esserlo i nomi dei professori che hanno ottenuto valutazioni positive dagli studenti. La disciplina. In base a studi di economia dell'istruzione emerge che l'adozione di sistemi di rendicontazione è un fattore strutturale capace di stimolare la crescita. In Italia questo ambito di indagine è nato da pochi anni e rientra perlopiù nell'ambito di Scienze della Formazione. "Perché questa disciplina è stata rifiutata dagli economisti - spiega Bianca Spadolini, docente di Economia dell'Istruzione all'Università Roma Tre, che ha attivato il primo insegnamento in Italia nel 1994 all'Università di Perugia -. Innanzitutto perché l'istruzione, e la cultura in genere, non sono mai stati un business. In secondo luogo perché in Italia l'istruzione appartiene all'ambito umanistico mentre nel mondo anglosassone appartiene alla cultura scientifica". Gli ambiti si estendono a tutti quei settori in cui è determinante individuare i riflessi del capitale umano. "Le aziende sono interessate a questi nuovi profili professionali - aggiunge Spadolini - perché sono in grado di valorizzare le risorse umane, indipendentemente dall'ambito. Il capitale umano ha un valore diretto ma anche indiretto. Basta pensare ai fenomeni della criminalità o alla sanità". Ambiti nei quali un incremento dell'education ha benefici per tutta la società, non solo dal punto di vista strettamente economic