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Soel 24 ore-La vostra scuola resta in deficit di flessibilità

La vostra scuola resta in deficit di flessibilità A ndreas Schleicher è la testa pensante e il promotore entusiasta di tutte le indagini dell'Ocse sui sistemi educativi. Dal suo ufficio parig...

16/09/2005
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Il Sole 24 Ore

La vostra scuola resta in deficit di flessibilità
A ndreas Schleicher è la testa pensante e il promotore entusiasta di tutte le indagini dell'Ocse sui sistemi educativi.
Dal suo ufficio parigino di direttore del dipartimento di analisi statistiche del settore istruzione ha " inventato" le due grandi indagini comparate Pisa, sui risultati di apprendimento dei quindicenni, e dirige anche il Rapporto annuale Education at a glance presentato ieri in varie capitali.
Dottor Schleicher, come giudica la prestazione dell'Italia? Buona fino alla secondaria superiore, insufficiente all'università, disastrosa nell'educazione permanente, dove vi collocate solo sopra la Grecia e l'Ungheria. L'Italia spende troppo poco? Il problema non è la quantità ma la qualità delle risorse. È vero che in Italia latitano gli investimenti privati per l'istruzione, ma lo Stato spende parecchio. I fondi però vanno tutti in stipendi e non resta quasi nulla per aggiornare le strutture e la preparazione dei docenti, misurare i risultati, premiare i migliori.
I difetti strutturali rendono la spesa meno efficiente? Sì. Noto nel sistema italiano un deficit di flessibilità. Tutto è rigido, vincolante, tutto è troppo e troppo uguale: molti insegnanti, molte ore di lezione, ma una gamma di opportunità educative ancora troppo ridotta e troppo formale.
Oggi l'apprendimento esterno alle aule scolastiche sta diventando sempre più importante, e il vostro Paese non sembra essersene accorto. La formazione post scolastica, che da voi quasi non esiste, sarà sempre più un fattore chiave.
Quanto rende oggi l'investimento in istruzione? Moltissimo, e renderà sempre di più, in termini di benessere individuale e sociale. La disoccupazione giovanile colpisce essenzialmente chi non dispone di un buon titolo di studio. Anche se le imprese italiane, per la verità, danno ancora troppo poco spazio ai laureati, specie di primo livello.


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