Slogan vecchi sulla scuola
Il Professore parla come se le cose non fossero peggiorate durante il suo governo
Paolo Valente
È UN’AGENDA PICCOLA PICCOLA, QUELLA DEL PROFESSORMARIO MONTI, NEL PARTE CHE SI OCCUPA DI SCUOLA, UNIVERSITÀE RICERCA: poche parole che liquidano i gravi problemi su temi così centrali per il futuro del Paese, con richiami generici a merito e valutazione, e ancor più generiche promesse d’investimenti «anche mediante agevolazioni fiscali». Abbandono scolastico e basso numero di laureati - su cui l’Agenda Monti si concentra - sono problemi reali, ma sono sintomi di uno stato di malattia molto più generale della «conoscenza» nel nostro Paese. È un fenomeno che ha radici innanzitutto nel massiccio disinvestimento di risorse, ma che è motivato anche dal grave stato di abbandono della scuola pubblica e nell’incapacità di restituire normalità, prima ancora che un rilancio, a università e ricerca, martoriate da riforme continue e contraddittorie. Non si spiega, allora, come possa migliorare la qualità dell’offerta formativa della nostra scuola, nell’impossibilità di motivare insegnanti senza prospettive di carriera né riconoscimento, anche sociale, del loro ruolo; o a cosa possa portare una valutazione senza premialità da una parte, e senza adeguato aggiornamento dall’altra. O come pensi, un eventuale futuro governo Monti, di migliorare la performance in termini di qualità e numero dei laureati, senza intervenire sul dissesto degli atenei, con professori in diminuzione costante e senza ricambio, vittime di una valutazione cervellotica (criticata, non a caso, in tutto il mondo) che non distribuisce risorse ai migliori. Né dice, l’Agenda, come i giovani ricercatori precarizzati e sotto-impiegati possano competere efficacemente per i bandi europei, o quali azioni intende mettere in campo per far rimanere in Italia quelli che, nonostante le condizioni di partenza, riescano ad attrarre fondi. Quello che si capisce bene, invece, è che per ricerca e innovazione s’intende, ancora una volta, in modo molto riduttivo, la ricerca applicata ai processi industriali o - peggio - la distribuzione di incentivi e risorse a pioggia alle imprese, piuttosto che un rilancio di un sistema realmente integrato che veda protagonisti gli enti pubblici e privati di ricerca, la ricerca condotta negli atenei e il mondo delle imprese innovative. Per fare questo, infatti, occorre incentivare tutto il «motore» dello sviluppo che dalla ricerca di base trasmette conoscenza alla ricerca applicata e fa girare gli ingranaggi dell’innovazione fino al mondo produttivo. Ma ancora più significativo è quello che nel documento programmatico di Monti non c’è scritto affatto: non c’è traccia della drammatica crisi finanziaria delle università pubbliche, dovuta ai tagli lineari di Tremonti-Monti-Grilli; non un accenno alle decine di migliaia di insegnanti precari da una parte e di classi «pollaio» dall’altra, con le scuole italiane che si reggono in piedi letteralmente per scommessa e con i contributi dei genitori per l’acquisto degli strumenti essenziali; non una parola sul sistema della ricerca pubblica umiliato da anni di declino dei fondi e della mancata attenzione di governo e Parlamento, dove le isole di eccellenza lottano per la sopravvivenza e gli altri per la dignità di una scienza oramai priva di mezzi. Un’agenda, dunque, che nella parte che riguarda scuola, università e ricerca, nella migliore delle ipotesi è quella che avrebbe potuto stilare il professor Monti nel novembre 2011: il documento sembra, infatti, ignorare i drastici provvedimenti «salva Italia» e di revisione della spesa nonché il cinico consolidamento della disarticolazione del sistema dell’istruzione pubblica perseguito anche da questo governo. Investire nella scuola e nell’università significa investire sul futuro dei nostri figli, ma per farlo occorre molto di più che generici richiami alla «valorizzazione» e al merito: occorrono risorse, restituendo ossigeno a un sistema oramai strangolato dai tagli; occorre invertire la tendenza, consolidata negli anni, di cercare di migliorare la performance di un sistema stremato da continue riforme e impoverito della sua risorsa migliore, ovvero i giovani.