«Siamo in un'emergenza educativa ma i problemi nascono alle elementari»
«Valutare le competenze ci aiuta a capire che abbiamo di fronte un treno che parte dalle elementari e arriva fino alla maturità, dobbiamo monitorarlo per vedere come si muove e dove va. E, soprattutto, eviterei di dire come sono ignoranti questi ragazzi delle superiori visto che parliamo del frutto di un albero che ha radici lontane».
A nna Maria Ajello, presidente dell'Invalsi, come è possibile che al termine della scuola, quindi a 19 anni, un ragazzo su tre non ha ancora un'adeguata competenza in italiano?
«Il problema dell'italiano è rilevato anche nelle fasi iniziali della scuola. Parte con le elementari dove può sembrare che ci siano meno danni ma le differenza emergono già tra la seconda e la quarta elementare. Poi, ovviamente, quando arrivano alla fine delle superiori i danni fanno più impressione. Ma sappiamo che le basi del problema nascono da lontano. Non è certo colpa della scuola superiore se i ragazzi finiscono gli studi con competenze non adeguate: è un problema che cresce con il passare degli anni».
In che senso?
«Valutare le competenze ci aiuta a capire che abbiamo di fronte un treno che parte dalle elementari e arriva fino alla maturità, dobbiamo monitorarlo per vedere come si muove e dove va. E, soprattutto, eviterei di dire come sono ignoranti questi ragazzi delle superiori visto che parliamo del frutto di un albero che ha radici lontane».
Dove è il problema allora?
«Si tratta di capire che siamo di fronte ad un'emergenza educativa, un fenomeno educativo complicato di cui vanno analizzate tutte le componenti per aiutare la scuola a migliorare le competenze dei ragazzi».
Come si aiuta la scuola?
«La situazione scolastica va monitorata per poi migliorarla: voglio dire che le scuole non possono essere lasciate sole. Abbiamo visto che esiste ed è concreto il peso del contesto sociale sull'acquisizione delle competenze degli studenti. È compito della società civile interrogarsi su come aiutare i ragazzi a vivere meglio. Quando diciamo di voler aiutare i giovani, che cosa intendiamo? Sono solo parole, facciamo i fatti: prepariamoli al futuro».
La scuola deve impegnarsi di più?
«È un problema che riguarda tutti, non solo chi vive dentro le aule. Dobbiamo riconoscere l'emergenza educativa che questi dati rappresentano perché nessuno può dire che non sono veri. Parliamoci chiaro: in Calabria, ad esempio, dati così estesi di incompetenza in italiano stanno a significare che questi ragazzi avranno meno opportunità di altri nel loro futuro».
Chi deve intervenire?
«Tutti, dalle famiglie agli uffici scolastici regionali, agli assessori regionali alla formazione. La scuola non è solo del ministero ma di tutta la popolazione. Vediamo dove si raggiungono gli esiti migliori: si raggiungono dove ci sono interventi educativi anche al di fuori della scuola. A Torino, ad esempio, esistono progetti validi che aiutano i ragazzi con i compiti nel pomeriggio».
Serve un aiuto maggiore in matematica?
«La matematica crea sempre i problemi maggiori, vale anche a livello internazionale, e soprattutto per le femmine. Dobbiamo preoccuparci di questo aspetto».
Perché?
«Perché le donne vivono più degli uomini e se non iniziano a preoccuparsi della loro preparazione matematica e della loro capacità economica, sono destinate ad avere meno occasioni per stare bene in futuro. La scuola deve guardare lontano».
A questo serve l'Invalsi?
«Sì, l'Invalsi deve costantemente fornire dati e misurare le variazioni del sistema per poter intervenire. Pensiamo ad esempio al listening dell'inglese: è migliorato rispetto allo scorso anno, pur mantenendo valutazioni molto basse».
Come funziona scusi?
«Se i ragazzi e gli insegnanti sanno che ci sarà una valutazione sul listening, si preparano per sostenerla. . Si può fare una riforma anche solo a partire dagli esami, poi tutto viene di conseguenza. Se si prende in carico il problema, il risultato si vede subito».
L.Loi.