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Si chiama «Ava» l'ultimo tassello della distruzione degli atenei

L'equazione impazzita che lega il blocco delle assunzioni dei prof all'estensione del numero chiuso dei corsi

07/02/2013
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il manifesto

 già pronto l'apparato burocratico per gestire la demolizione programmata dell'università e l'annunciato dissesto finanziario di venti atenei nel 2013. L'ultimo tassello si chiama Ava, autovalutazione-valutazione-accreditamento che, insieme al decreto sulla programmazione triennale, regolerà gli accorpamenti e le fusioni tra gli atenei e i corsi di laurea sopravvissuti alla catastrofe. «Stanno mettendo in pratica la visione degli ideologi del Corriere della Sera Giavazzi e Perotti - afferma Giuseppe De Nicolao, docente di automatica a Pavia e redattore della combattiva rivista online Roars.it - quelli che hanno ispirato la riforma Gelmini che oggi Profumo sta attuando».
Perché questo decreto è così pericoloso?
Ava è l'erede del decreto 17 che aveva reso più stringenti i requisiti sui docenti per tenere aperti i corsi di laurea. Impone agli studenti sei questionari sulla qualità dei corsi, della didattica, più uno da far compilare ai docenti. Ritocca le formule numeriche che impongono il numero massimo dei corsi erogabili degli atenei legandoli al numero dei docenti disponibili. E poi ci sono altri vincoli...
Quali?
Uno particolarmente severo sulla «didattica assistita» che comprende lezioni frontali, laboratori, i precorsi. Viene stabilita la possibilità che gli ispettori dell'Anvur facciano visite a sorpresa per controllare che gli atenei forniscano dati veritieri. È uno scenario da Farheneit 451. Con i pompieri che irrompono negli scantinati dove si faceva didattica di nascosto. La colpa più grave sembra quella di trasmettere la cultura.
E le conseguenze?
Con il blocco delle assunzioni e la progressiva diminuzione del numero dei docenti prevista nei prossimi anni ci sarà una proliferazione del numero chiuso delle facoltà, oppure la chiusura pura e semplice dei corsi di laurea. Molti atenei hanno già dovuto chiuderli perché non hanno docenti a sufficienza. L'idea di partenza sembra sensata. Se hai un certo numero di docenti e una certa qualità scientifica puoi tenere aperti i corsi, se non li hai è giusto chiuderli. In realtà, quelli imposti dal ministero sono requisiti molto pesanti introdotti con la convinzione che uno dei mali dell'università sia la sovrabbondanza dei corsi di laurea.
Così sembra, anche perché in 10 anni l'università ha perso 58 mila studenti...
Se da un lato è vero che c'è stata una strage degli immatricolati tardivi, cioè i ragazzi che intraprendono gli studi dai 24 anni in su, dall'altro lato non va molto meglio con i ragazzi freschi di diploma dove le riforme hanno sostanzialmente l'obiettivo di allargare l'accesso alla formazione terziaria. Alla luce di questa realtà, è paradossale la convinzione di chi continua a tagliare. L'Ocse dice che siamo l'ultimo paese in Europa nella percentuale dei laureati nella fascia 25-34 anni: 21% contro una media del 38%. Un abisso. Se vuoi risalire la classifica non si capisce allora perché continui a chiudere corsi di laurea, tagliare borse di studio o addirittura atenei.
Per quale ragione questo invece avviene?
Pare che i nostri politici non conoscano i dati Ocse e sono convinti che in Italia ci sia un'erogazione eccessiva di istruzione universitaria. C'è una forte spinta a non studiare, il messaggio che circola è che è inutile e dannoso. Per questo impongono vincoli soffocanti all'università e penalizzano il diritto allo studio. In questo paese procurarsi un'istruzione è una forma di hybris che va prevenuta o punita.
È vero che queste riforme favoriranno la «concorrenza» tra gli atenei?
Direi proprio di no. Il decreto Ava non vincola gli atenei privati a regole così rigide. Hanno creato un sistema a doppia velocità dove gli atenei pubblici corrono con le mani e i piedi legati per consentire agli atenei privati di trarre vantaggio. ro. ci.


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