Sfuma la stabilizzazione dei precari Cnr: il decreto silura 350 ricercatori. «Una doccia fredda» – Le interviste
Con l’ultima legge di bilancio dovevano essere stabilizzati circa 400 ricercatori del Cnr. I soldi sono meno di quanto ci si aspettava: solo 50 avranno un contratto
Open
Valerio Berra
Doveva essere il punto di svolta. L’ultima Legge di Bilancio aveva stanziato un fondo da 25 milioni di euro per stabilizzari i precari storici del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche. Con oltre 7 mila dipendenti, questo ente è una delle realtà più importanti per la ricerca in Italia. Le regolarizzazioni dei precari in questa struttura sono cicliche e l’ultima doveva arrivare nel 2021, con pacchetto di fondi destinato proprio a questo scopo. Un decreto pubblicato dal Ministero dell’Università e della ricerca ha congelato ogni possibilità di raggiungere questo obiettivo: di tutti quei fondi, solo una parte verrà utilizzata per stabilizzare i precari. Restando sui numeri, dei 395 che aspettavano di essere assunti ne verranno stabilizzati al massimo 51. L’idea del precariato di solito è associata all’inzio della carriera e a un’età giovane. Il profilo dei precari del Cnr non è esattamente questo. Il precariato qui può durare anche dieci anni, con assegni di ricerca che vengono rinnovati di anno in anno e che dipendono sempre dal recupero di fondi stanziati da altri enti, uno su tutti l’Unione Europea.
Antonino: «Il mio contratto scande il 31 dicembre. Non so cosa succederà dopo»
Una laurea in ingegneria dell’automazione e robotica. Un dottorato a Siena e anni di esperienza sul campo. Antonino Crivello, classe 1987, è uno dei precari che avrebbero dovuto essere stabilizzati a fine anno, dopo una gavetta che dura da anni: «Ho cominciato a lavorare al Cnr nel febbraio del 2014. Si tratta di un contratto atipico che fino a qualche tempo fa non permettevano nemmeno di avere la disoccupazione. Sono contratti con poche tutele: non hanno ferie, permessi e soprattutto non consentono di pagare i contributi. Nel 2019 ho ottenuto un contratto a tempo determinato di un anno, prorogato fino al 2021. Alla fine di quest’anno però non sarà più possibile fare nessuna proroga».
La natura dell’assegno di ricerca è quella di un contratto di formazione. Costa poco per il datore di lavoro, è molto flessibile e una volta scaduto dovrebbe essere convertito in una forma di lavoro più tutelato: «Ieri, 28 luglio, abbiamo manifestato davanti alla sede del Cnr e del Ministero dell’Università. Nella Legge di bilancio il Parlamento aveva votato nero su bianco per aumentare il fondo che sarebbe servito ad assumere i precari del Cnr. Il decreto del ministero ha disatteso queste indicazioni e ha dirottato i fondi verso altre voci di spesa. Per noi è stata una doccia fredda. Da 25 milioni di euro i fondi per stabilizzare i precari sono diventati 3 milioni e 300 mila euro. Abbastanza per assumerne circa 50. Dovevano essere 395». Altro problema è il limite della durata dei contratti precari: il rischio per quelli che sono rimasti esclusi è di non poter essere riassunti con altri contratti. Il rinnovo dei contratti di precariato infatti ha un limite: «Non esistono dati certi ma abbiamo stimato che il numero di precari nel Cnr è di circa 1.200 persone. Dopo sei anni è praticamente impossibile rinnovare il contratto».
Daniele: «Sono stato precario al Cnr per 17 anni»
Daniele Trucchi ha cominciato a lavorare al Cnr nel 2002, quando aveva 26 anni. Il primo contratto stabile è arrivato nel 2019, a 43 anni. Laureato in ingegneria elettronica, è giunto al Cnr per sviluppare sistemi dedicati alle analisi ai Raggi X: «Per i primi sei anni ho lavorato con contratti a progetto. Sono assegni di ricerca che vengono rinnovati di anno in anno. Poi ho cominciato a cercare io i fondi per i miei progetti, trovando i soldi sia per pagare il mio stipendio che per formare un gruppo di ricercatori. Dal 2008 sono stato assunto a tempo determinato. Nel 2019 sono riuscito a stabilizzarmi grazie alle graduatorie introdotte da Marianna Madia che fino al 2018 è stata ministra per la pubblica amministrazione».
Ogni anno sono circa 150 i ricercatori del Cnr che vanno in pensione. Un numero a cui però non corrisponde un turn over di giovani ricercatori che vengono assunti. Anche se, come si legge dalle storie di Daniele e Antonino, di giovane questi ricercatori non hanno molto visto che si tratta di professionisti che già lavorano da anni nel settore. Gli assegni di ricerca poi non sono tutti uguali tra loro: «Ci sono – continua Daniele – tre categorie: la prima prevede uno stipendio che, a seconda dell’anzianità, va dai 1.400 euro netti al mese a 1.700. La seconda da 1.600 a 1.900. E poi ci sono i post doc che possono arrivare anche a 2.200 euro al mese. Chi riesce ad arrivare al tempo determinato poi può contare su circa 1.800 euro netti al mese ma cui ci sono anche tutte le tutele: ferie, malattia, permessi, tredicesima, buoni pasto e Tfr».
Nicola Fantini (Cnr): «Abbiamo bisogno di questi precari. Ora parleremo con il Mur»
A inizio a aprile Maria Chiara Carrozza è diventata presidente del Cnr. É la prima volta che una donna ricorpre questo incarico in tutta la storia dell’ente. Insieme a lei è cambiato anche il consiglio di amministrazione. Open ha parlato con Nicola Fantini, il membro del Cda che si occupa di rappresentare il personale del Cnr: «Nel bilancio preventivo che abbiamo fatto era chiarito anche il numero dei precari: 338 assegnisti di ricerca e 57 lavoratori a tempo determinato. Non sappiamo perché il Mur ha deciso di non spostare questi fondi. Regolarizzare questi precari non è solo una forma di rispetto verso il loro lavoro: è importante anche perché ognuno di loro è titolare di un progetto che porta fondi al nostro ente e competitività al nostro Paese. E negli ultimi due anni abbiamo imparato quanto sia vitale la ricerca scientifica».