“Senza perdere la testa”
La riflessione di un gruppo di insegnanti di Bologna
Un gruppo di insegnanti di Bologna ci ricorda che anche nelle situazioni di emergenza è importante e possibile mantenere un punto di vista riflessivo e pedagogico, senza perdere la testa. Qualsiasi scelta, soprattutto a scuola, deve partire pensando a chi è in situazione di maggiore difficoltà. E se la didattica a distanza, che ha in realtà una lunga storia, ha finora riguardato gli adulti, con bambini e ragazzi resta fondamentale immaginare una prospettiva diversa e partecipata. Non esiste solo la lezione in sincrono. Esistono anche tante altre attività. Non sono necessarie solo le videolezioni e le piattaforme, ma anche risorse open source e un’ampia rete di relazioni territoriali.
Questa riflessione è stata ripresa anche dal portale Comune.info, il 6 Maggio 2020.
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Noi docenti dell’Istituto Comprensivo 8 di Bologna abbiamo iniziato subito a riflettere e confrontarci su questo periodo e sulla scuola che verrà, molto prima che tutto arrivasse alla ribalta sui giornali e sui social.
Noi insegnanti abbiamo vissuto quelle prime convulse settimane e sappiamo bene cosa è stato il “fai da te”: docenti al lavoro senza orario per attivare spazi digitali sicuri, docenti attivi su drive, registro elettronico e anche telefono personale per preparare materiale, riceverlo dagli alunni e tenere contatti.
Ricordiamolo: la situazione era imprevista ed eccezionale.
Non si può negare la mancanza di direttive e di un contesto legislativo chiaro, di preparazione e di strumenti, non c’è stato il tempo per una discussione pedagogica negli organi collegiali, non ce lo ha lasciato l’emergenza.
Emergenza: questa è la parola corretta.
E noi insegnanti, come il saggio Ulisse raccontato da Mino Milani, abbiamo saputo agire in fretta in giorni convulsi e incerti senza mai “perdere la testa”, senza mai dimenticarci che, alla base di ogni nostra azione, c’è e ci deve essere sempre, anche in emergenza, lo spazio per una riflessione didattica e pedagogica, che parta dall’attenzione ai singoli studenti e al loro essere classe.
Nel libro di Milani, Anceo insegna ad Ulisse che anche quando sarà costretto a scappare non dovrà mai perdere la testa e quindi se stesso. In qualche maniera anche noi insegnanti siamo stati costretti a scappare dalle scuole, che da un giorno all’altro sono state chiuse, e da quella quotidianità e presenza, che sta alla base della nostra azione. Non abbiamo mai perso, però, la testa e quindi noi stessi.
Così, mentre a distanza abbiamo provato a tenere le fila delle nostre classi, e siamo entrati con discrezione nelle case e nelle vite dei nostri alunni, sentivamo in sottofondo la voce di chi intanto stava coniando un nuovo acronimo DAD, didattica a distanza.
La Didattica a Distanza, o meglio la Formazione a Distanza (FAD), è l’insieme delle attività didattiche svolte all’interno di un progetto formativo che prevede la non compresenza di docenti e discenti nello stesso luogo e ha ormai una storia lunga alle spalle. Parlando di FAD, si è soliti distinguerne addirittura tre generazioni diverse, in base al tipo di supporto utilizzato: la prima generazione è quella che avveniva per corrispondenza postale (dalla metà Ottocento), la seconda generazione era basata sulle tecnologie audiovisive (dagli inizi del XX secolo) e la terza generazione è quella incentrata sulle tecnologie informatiche (dagli anni ‘80), a sua volta suddivisa in FAD off line e in FAD on line.
E’ bene sottolineare però che tutte queste modalità erano nate e dunque erano state progettate in modo specifico per la formazione degli adulti (come conferma il diffondersi negli ultimi anni di corsi universitari, atenei telematici e corsi di formazione professionale rivolti a studenti e lavoratori) e che, pur essendo state suggerite e introdotte da una ventina d’anni anche per la didattica scolastica, non hanno mai sostituito del tutto (e nemmeno in parte) la didattica in presenza, dato che il loro utilizzo è quanto più difficile e problematico mano a mano che si abbassa l’età dei discenti.
Ora, dopo 9 settimane di esperienza possiamo e vogliamo dirvi che “il re è nudo”: la didattica a distanza non esiste. Dare i nomi corretti serve a capire le realtà di cui si parla. Tutte le azioni messe in campo dai docenti in questo eccezionale periodo sono un surrogato, di cattivo sapore come tutti i surrogati, di ciò che è la didattica che realizziamo quotidianamente a scuola.
E’ oggettiva la difficoltà dei docenti, per esempio, a conservare durante la video-lezione una prospettiva laboratoriale e partecipata, così come, a fatica, molti di noi l’avevano costruita nella quotidiana pratica didattica in classe. La continua e necessaria verifica della funzionalità del canale comunicativo ci obbliga a microfoni spenti, rigidi turni di parola e gestione degli interventi che “ingessano” oltremodo la video-lezione, inibendo la possibilità di una reale e pienamente soddisfacente dimensione di scambio. Si potrebbe definire la Didattica a Distanza una didattica “radiale”, che tende, nel migliore dei casi, a far convergere le domande e le considerazioni dei discenti sul docente, in una relazione uno a uno, e molto meno fra i discenti fra loro. Viene dunque a mancare il senso vero del gruppo-classe, della comunità discente che impara (e cresce) grazie al confronto avviato al suo interno.
Partiamo dagli alunni in situazione di difficoltà per arrivare a tutti gli alunni. La scuola pubblica italiana garantisce il diritto all’apprendimento a tutti gli studenti, qualunque sia la loro nazionalità e situazione sociale. La scuola pubblica italiana garantisce il diritto all’apprendimento agli alunni con disabilità. Questi diritti sono gravemente a rischio nell’attuale situazione, nonostante tutti gli sforzi fatti (distribuzione di dispositivi in comodato d’uso, assistenza tecnica a distanza…) e nonostante la grande creatività e impegno e la cura di docenti ed educatori.
Le forme di insegnamento a distanza, ammesso anche di essere nelle migliori condizioni possibili dal punto di vista dei supporti, della connessione e della preparazione, non sono in grado in nessuna maniera di sostituire per nessuno dei nostri alunni l’appartenenza alla società educante della scuola e delle classi, dove si impara dalla relazione, dal confronto, dalla diversità.
Ma entriamo ancor più nel merito. Per molti la didattica a distanza si realizza in un unico modo possibile: attraverso la lezione on line, detta anche lezione in sincrono.
Proviamo a smontare un’immagine: alunno fermo, insegnante che parla. Chi pensa alla scuola a partire da qui non entra in una scuola da molto, di certo non in una scuola Primaria, ma non solo. Immaginare una lezione on line, panacea di tutti i mali, in questo modo: bambino “vuoto” che viene riempito dalle parole del docente, è decisamente fuorviante.
Non è così che funziona. Per questo i docenti, davanti all’emergenza e alle incerte, poco note, vie della DaD, hanno in primo luogo pensato, non hanno “perso la testa” e hanno recuperato la lucidità per le necessarie riflessioni pedagogiche.
Abbiamo pensato e immaginato i nostri alunni a casa, in questa situazione, in primo luogo. Tutti insieme, ed uno ad uno: Andrea che ha bisogno che io ripeta più volte la consegna perché è ansioso, Lucia che prende sempre la parola, Luca che non riesce a star fermo, Anna, che ha tre sorelle e una sola stanza, ma anche Marco che non parla perché affetto da sindrome autistica… tutti e ognuno.
Gli insegnanti si sono fermati a pensare, progettare e costruire, senza correre dietro alle sirene della “ lezione in sincrono”, e spesso, come è normale che sia, hanno compiuto scelte didattiche diverse.
Cosa c’è dietro a queste scelte? Ci sono discernimento e responsabilità. A questo fa riferimento la nostra Costituzione quando stabilisce la libertà di insegnamento. Qui la faccenda si fa importante: si tratta di tenere ben fermo un principio costituzionale, che non fu scritto a “difesa” dei docenti, ma a difesa del diritto all’educazione dei giovani cittadini secondo i principi di una democrazia.
L’insegnante non solo può, ma deve rivendicare la sua discrezionalità, ovvero la sua libera scelta responsabile che è in grado di motivare, di cui sa rendere ragione. È l’arte del progettare, del programmare, del modificare e del riprogettare che è il suo mestiere. L’apprendimento – insegnamento è un percorso e richiede queste capacità.
Abbiamo imparato molto e in fretta noi e i nostri studenti, anche i più piccoli: ci siamo mossi, prima impacciati e poi sempre più spediti, nel linguaggio e nella grafica dei nuovi mezzi, alcuni ci piacciono e non li abbandoneremo; abbiamo recuperato, anche in campo informatico, l’arte del problem solving, forse un po’ abbandonata mentre percorrevamo sentieri informatici divenuti familiari. Abbiamo scoperto che i dispositivi e le piattaforme di condivisone pongono problemi che neppure i cosiddetti “nativi digitali” si erano mai posti. Anche loro, nell’emergenza, affiancati dai “dinosauri” digitali, hanno scoperto come muoversi fuori dal rassicurante mondo delle app social e del touch screen.
Noi ci siamo assunti il dovere di renderli utilizzatori consapevoli di un mezzo che molti di loro non conoscevano come strumento di lavoro ma solo di gioco, abbiamo ancora una volta noi insegnanti svolto il nostro compito di insegnare ai ragazzi la differenza tra consumatore di un bene e utilizzatore, e per farlo abbiamo insegnato loro la responsabilità.
Come e più che nelle lezioni in presenza, il docente è stato guida in questo apprendistato cognitivo, facendosi carico della selezione e validazione dei materiali, indicando risorse e fornendo stimoli, avviando negli alunni l’apprendimento cooperativo e la necessaria riflessione metacognitiva, nonché la critica delle informazioni.
Come e più che nelle lezioni in presenza, il nostro agire didattico è oggi il frutto di confronto, scambio e condivisione di buone prassi. Confronto tra insegnanti curricolari, confronto tra insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno, tra insegnanti ed educatori, confronto tra insegnanti di ruolo e insegnanti precari. Questi ultimi, spesso nominati ad anno scolastico già in corso, si assumono la responsabilità didattica ed educativa di classi nuove in scuole appena conosciute, con garanzie contrattuali e di stipendio incerte, e anche in questa eccezionale situazione d’emergenza hanno confermato la necessità della loro presenza e non sono mai venuti meno alla propria responsabilità professionale.
Ma adesso, cosa davvero ci preme? Pensare alla scuola che verrà.
Cosa ci preoccupa? Non sentiamo parole riflettute, non percepiamo un progetto che partendo da quanto sperimentato ci lanci in una vera innovazione. Non sentiamo, non vediamo scelte politiche.
Si deve continuare a investire per potenziare gli strumenti informatici delle nostre scuole per le situazioni di emergenza, come quella che viviamo, e per continuare ad arricchire gli attrezzi del nostro mestiere. Ma come? Davvero l’unica strada è quella utilizzata in questa emergenza, ovvero affidarsi a piattaforme di natura proprietaria? davvero non possiamo costruirci su risorse open source?
Il vero vuoto noi lo percepiamo là dove non si analizza la situazione, là dove non si vede, non si vuole vedere perché “il re è nudo”: la scuola non potrà far fronte alla fase 2 non perché non preparata e non provvista dal punto di vista tecnologico, ma perché POVERA, estremamente povera.
Povera di personale anzitutto, depredato dalle scellerate scelte dei governi degli ultimi decenni; povera di spazi, perché in un paese in cui nessun governo ha saputo affrontare l’enorme e delinquenziale evasione fiscale, le strutture scolastiche, bene comune, erano già pesantemente inadeguate alla vita quotidiana degli studenti.
L’emergenza ha drammaticamente fatto venire al pettine i nodi di una politica di tagli che ha privato di risorse essenziali la scuola, ma ha anche mostrato quanto la scuola continui ad essere un cuore pulsante nella società e un punto di riferimento per le famiglie.
Non va lasciata sola.
Occorre non solo investire sulla scuola dal punto di vista economico, ma anche riattivare la rete di relazioni che le stanno intorno. Occorre oliare la grande macchina del Welfare, riattivando le relazioni con le istituzioni locali, i Servizi Sociali ed Educativi, la Neuropsichiatria e i medici di base per far fronte anche alle molte sofferenze che il lockdown può avere acuito in alcuni contesti famigliari a rischio, in minori con disabilità, di recente migrazione o in area devianza.
Ecco allora ciò che davvero ci preme, è semplice, è fattibile, frutto di una necessaria scelta politica:
- che la scuola sia considerata dalla nostra politica una priorità.
- che i bambini e i ragazzi tornino a frequentare la scuola, fondamentale comunità educante in cui possono crescere e apprendere.
- che vengano stanziati fondi per aumentare il personale, anche attraverso la stabilizzazione del personale precario, per consentire la formazione di classi con minor numero di alunni, per creare/reperire più spazi e renderli adeguati, per aumentare il personale ausiliario e garantire la corretta pulizia degli ambienti, che vengano cambiate le modalità di collaborazione tra scuola ed educatori, figure professionali insostituibili e fortemente penalizzate.
Bologna, 1 maggio 2020
I Docenti firmatari dell’Istituto comprensivo 8 di Bologna:
Scuola secondaria di I grado “Guinizelli – Carracci”
- Raffaella Baglio
- Annalisa Bartoletti Stella
- Carlotta Bartoli
- Massimo Bertacchi
- Elena Bortesi
- Giovanni Cantone
- Luisa Catalano
- Antonietta Cichello
- Alessandra Collina
- Ilaria Conte
- Paola Conte
- Maria Paola De Gregorio
- Chiara Di Leo
- Livia D’Orazi
- Pierogiorgio Fantoni
- Daniele Follero
- Delia Fontana
- Pierangela Gaiba
- Emanuela Garimberti
- Alessandro Generali
- Alessandra Ghidini
- Stefania Giametta
- Sara Guglielmo
- Elvira Ierardi
- Maria Elisabetta La Rocca
- Laura Latini
- Valeria Mannelli
- Giacomo Mannironi
- Beatrice Marotta
- Raffaellarosaria Rita Marzovillo
- Liana Melara
- Silviamaria Mingarini
- Daniela Paradiso
- Carlotta Pavanelli
- Angela Pesce
- Lorella Poggiali
- Guglielmo Poli
- Miranda Privitera
- Lucia Porrini
- Barbara Rabboni
- Maria Cristina Raffaelli
- Simonetta Raimondi
- Giovanna Renzi
- Lucia Rossiello
- Anna Sardo
- Cristina Stoppa
- Valentina Talamè
- Alessandra Trippa
- Irene Carla Zaveria Valsangiacomo
- Silvia Vignoli
- Anna Zanardi
Scuola Primaria “Avogli”
- Cristina Baroncelli
- Antonella Cocomazzi
- Assunta Fiorentino
- Francesco Giuliano
- Eugenia Rotondo
Scuola primaria “Bombicci”
- Anna Maria Bertani
- Manuela Bungaro
- Anna Maria Castagnetti
- Valeria Criminisi
- Maria Corbetta
- Carmen D’Amico
- Rosaria De Marco
- Irene Di Benedetto
- Cristina Di Somma
- Eugenio Fico
- Emanuela Ianniello
- Annarita La Mela
- Elvira Liverano
- Sonia Mammarella
- Giusy Mannone
- Donatella Oldrini
- Eleonora Palmieri
- Elena Palmarini
- Federica Pasqualicchio
- Concetta Puzzo
- Francesca Reali
Scuola primaria “XXI aprile”
- Paola Attanasi
- Roberta Baraccani
- Flavio Bernardi Boari
- Chiara Bolis
- Maria Grazia Cenacchi
- Anna Paola Cinus
- Lara Cipelletti
- Salvatore Deangelis
- Silvia De Gioia
- Valentina Di Santo
- Annamaria Faino
- Caterina Ferrari
- Claudia Martino
- Manuela Mezzetti
- Federica Negroni
- Maria Rosaria Pedana
- Annalisa Porcu
- Chiara Saguto
- Marzia Sgambellone
- Maria Speziali
- Annalena Tucci
- Annarita Turco
- Maria Teresa Ventura
- Giusi Volgarino
- Luciana Zambelli
Scuola primaria “Manzolini”
- Rosa Addessi
- Lucia Brunetti
- Arianna Candiotto
- Maria Laura Chiarini
- Carla Cianciosi
- Maria Teresa Cuda
- Rossella Di Remigio
- Simona Fantazzini
- Stefania Farinola
- Massimo Fazio
- Concetta Moschetti
- Patrizia Rivola
- Nunzia Vannuccini
- Mariaurora Vavalà
Scuola dell’infanzia “Manzolini”
- Antonio Bartiromo
- Maria Stella Ciccia