Seconda vita digitale per i corsi umanistici
La contaminazione è un valore. Anche all’università. E non è un caso che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) punti a incrementare la trasversalità degli insegnamenti.
Eu.B.
La contaminazione è un valore. Anche all’università. E non è un caso che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) punti a incrementare la trasversalità degli insegnamenti. Che sia la strada giusta lo conferma un focus di AlmaLaurea sulle «digital humanities»: i corsi umanistici che ospitano almeno il 5% di crediti tecnico scientifici. Una scelta che paga anche sul mercato del lavoro visto che sembra accorciare i tempi del primo impiego, aumentare il ritorno occupazionale e migliorare le retribuzioni.
Oggetto dell’indagine sono i corsi magistrali biennali che rappresentano la “fetta” più ampia delle digital humanities: su 770 corsi di area umanistica attivi nel 2020/21 sono 72 quelli in possesso del 5% di crediti nei settori scientifico-disciplinari di informatica e ingegneria informatica. Di questi, 58 sono appunto magistrali biennali: il 14,3% di tutte le magistrali umanistiche (contro il 10,6% dell’anno accademico 2010/11). Con un’incidenza che risulta maggiore tra i gruppi disciplinari linguistico (37,9%) e arte e design (34,5%) e inferiore invece in quello letterario-umanistico (13,8%) oppure di educazione e formazione (3,4%); completa il quadro il 10,3% dell’ambito politico-sociale e comunicazione che non rientra però nelle laure umanistiche tout-court.
Nello scandagliare la loro carriera universitaria e paragonarla ai corsi umanistici tradizionali AlmaLaurea si sofferma sui laureati biennali del 2020. Evidenziando come i primi non solo si laureino prima (26,8 anni di media contro 28) e maggiormente in corso (64,6% anziché 55,8) ma vantino anche competenze linguistiche e informatiche più approfondite: conosce l’inglese scritto a un livello B2 l’88,2% invece del 65,1 per cento.
L’effetto (positivo) si riflette sul piano occupazionale. Il primo impiego dei laureati magistrali biennali del 2015, intervistati a 5 anni di distanza, arriva infatti in 5,8 mesi contro i 7,3 mesi dei corsi umanistici tradizionali. A beneficiarne è sia il tasso di occupazione (83,8% anziché 78,6%) sia lo stipendio. Tant’è guadagnano in media 1.419 euro, +7,4% rispetto ai 1.321 euro degli umanisti tradizionali. Peccato che dopo averli formati spesso li vediamo emigrare. Nell’11,8% dei casi invece che nel 6,3 per cento. Specialmente nei gruppi linguistico (13,5%) e arte/design (12,8%). Un doppio spreco di capitale umano.