Secolo XIX: Scuola, in tre anni tagliati 150 mila posti
Previste sensibili riduzioni di fondi alle università e agli enti di ricerca
il programma del ministro
Roma. Pochi giorni fa, il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, aveva promesso più soldi per gli insegnanti. E quello della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, le aveva fatto eco spiegando che «noi dobbiamo avere i docenti più bravi e pagati d'Europa».
Ma le loro dichiarazioni ora hanno lasciato il posto alla scure del governo, pronto a tagliare nella scuola 150.000 posti in tre anni pur di recuperare quasi 8 miliardi, e ridurre in modo sensibile anche le risorse per università ed enti di ricerca.
La bozza del decreto fiscale, stando alle anticipazioni fornite dai sindacati, prevede la cancellazione nella scuola ordinaria di oltre 100 mila cattedre e di oltre 43 mila posti tra personale amministrativo, tecnico e ausiliario. L'obiettivo del governo è quello di portare l'attuale rapporto tra insegnanti e alunni, pari al 9,1, al 10,1 entro il 2011-2012, e di ridurre del 17% il numero di bidelli, personale di segreteria e tecnici di laboratorio.
Tagli draconiani, che ufficialmente mirano «a una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente». Per cui l'esecutivo promette di investire il 30% dei soldi risparmiati con le riduzioni.
Le forbici del governo colpiranno anche le università che nei prossimi tre anni riceveranno 500 milioni in meno dal fondo ordinario. Gli atenei avranno meno risorse anche per la contrattazione integrativa, mentre gli scatti di stipendio dei docenti diventeranno da biennali a triennali. I soldi così risparmiati tra il 2009 e il 2013, che nelle previsioni ammontano a circa 480 milioni, verranno versati in un apposito fondo del bilancio dello Stato.
Brutte notizie anche per gli enti di ricerca. Tutti quelli con meno di 50 dipendenti verranno soppressi. Lo stesso destino di quelli con più di 50 unità, che non rientreranno nei piani dei ministeri "vigilanti".
L'istruzione italiana, insomma, verrà sottoposta a un rigido dimagrimento, nonostante che da anni esperti e associazioni chiedano più fondi per rilanciarla, anche a fronte di un preoccupante calo di qualità rispetto agli altri paesi europei. Non stupisce, quindi, che i sindacati siano già sul piede di guerra. Francesco Scrima, della Cisl Scuola, accusa: «Il governo ha deciso tagli senza valutarne le pesantissime conseguenze sul piano della qualità dei servizi. Non si preoccupa degli obiettivi della scuola, ma attacca semplicemente un pezzo di Welfare. Così però si tagliano le radici su cui un paese deve crescere: si taglia il futuro». Mentre Enrico Panini, segretario nazionale della Flc Cgil, delinea già gli effetti pratici del decreto: «Con questa perversa scelta, per la prima volta nella storia d'Italia gli ordinamenti scolastici saranno più poveri di quelli precedenti. Si ipotizza infatti il ritorno del maestro unico della scuola primaria e una riduzione di ore e materie in quella secondaria. Con effetti disastrosi per le scuole tradizionalmente frequentate dai ceti popolari». Panini, insomma, accusa il governo di volere una riduzione classista contro cui la Cgil ha votato un ordine del giorno. Una tesi sostenuta anche da Rino Di Meglio, della Gilda Scuola: «Tagliare 100 mila cattedre in tre anni significa smantellare la scuola pubblica, a cui spesso si attribuiscono sprechi. Una cosa del tutto falsa: basta vedere in che stato versa la gran parte degli edifici scolastici. Fatiscenti, talvolta a rischio sicurezza, e carenti persino di banchi, sedie e gessi. La veritàè che siamo agli ultimi posti in Europa negli investimenti per l'istruzione». Osservazioni condivise dall'opposizione, che parla di «distruzione della scuola pubblica» (Comunisti Italiani) e di «colpo di mano del governo» (Manuela Ghizzoni, Pd). I timori tengono ovviamente banco anche tra i docenti. Che paventano drastiche riduzioni degli insegnanti di sostegno e l'abolizione totale o parziale del tempo pieno, essenziale per tante famiglie nelle grandi città.
Marco Mamberti, rappresentante sindacale, insegna nell'istituto per la cinematografia di Roma. E spiega: «Se passa il decreto, avremo classi anche con 32 alunni per insegnante. E francamente non so che tipo d'istruzione si potrà offrire loro. Già ora è difficile lavorare in classi con oltre 20 ragazzi. Io insegno da tempo, e posso assicurare che ormai noi docenti sostituiamo anche i genitori per tanti ragazzi, molti dei quali vengono ignorati in casa».
Luca De Carolis