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Secolo XIX: Il pluralismo scolastico e i suoi confini

L'editorialista di Avvenire, Giacomo Samek Lodovici, nel suo articolo del 23 febbraio scorso, intitolato "Soltanto una scuola libera sarà anche pertinente", ha portato, senza volerlo, un contributo di chiarezza al dibattito

01/03/2008
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Il Secolo XIX

DINO COFRANCESCO

L'editorialista di Avvenire, Giacomo Samek Lodovici, nel suo articolo del 23 febbraio scorso, intitolato "Soltanto una scuola libera sarà anche pertinente", ha portato, senza volerlo, un contributo di chiarezza al dibattito, in corso da tempo, sul pluralismo, la laicità della scuola, i nuovi diritti, il multiculturalismo etc. «L'esistenza di scuole non statali - ha scritto - garantisce un principio morale e irrinunciabile, che non è certo di parte: la libertà dei genitori di scegliere per i figli una scuola conforme alle proprie convinzioni».
Ne deriva l'impegno dello Stato a rendere possibile «una reale ed effettiva libertà di scelta, realizzando una vera parità scolastica e consentendo ai genitori di iscrivere i figli negli istituti più confacenti alle loro convinzioni. Lo Stato deve cioè garantire la possibilità che i genitori di sinistra possano mandare i figli in scuole di sinistra, quelli liberali in scuole liberali, quelli cattolici in scuole di ispirazione cattolica». È un principio, ha commentato Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, che «automaticamente dovrebbe essere esteso, salvo forzature costituzionali, ad islamici e buddisti, geovisti e 'scientologisti', induisti e animisti e cultori del wudu». L'ironia è del tutto giustificata, ma forse è utile non fermarsi ad essa. Nello scritto di Samek Lodovici, infatti, vengono alla luce tutti gli equivoci e i fraintendimenti che "la filosofia delle scuole italiane"? penso ad antropologi culturali come Marco Aime - ha prodotto, in questi ultimi anni, in quantità industriale. Innanzitutto, l'idea che qualsiasi cosa si insegni ai giovani è espressione della tribù di appartenenza. «Un sistema scolastico che |?| non propone e non valorizza nessuna cultura e nessun modello di vita - fa rilevare Samek Lodovici - in realtà fa una precisa scelta culturale: quella del relativismo, in cui tutte le opzioni sono sullo stesso piano». Se i sociologi multiculturalisti esaltano il relativismo, Avvenire lo demonizza, ma la sostanza non cambia: dal relativismo non si esce giacché il sapere autentico è sempre saturo di valori, buoni o cattivi che siano. In altre parole, la storia d'Italia può essere riscritta in una prospettiva marxista, cattolica, liberale, islamica etc., ma sarebbe vano pretenderne una che metta d'accordo tutti. Nessuno ha spiegato ai nemici e agli amici del relativismo che la neutralità delle scienze umane non sta nei risultati della ricerca, ma nella possibilità di discuterne il metodo: ogni apparecchio ci restituisce fotografie parziali del mondo, a causa delle diverse sensibilità estetiche e morali dello spettatore, ma la tecnica di costruzione dello strumento ottico non ha nulla di arbitrario e richiede conoscenze sicure e non improvvisate.
Nell'articolo di Samek Lodovoci, però, si ritrova un equivoco ben più grave che non riguarda più il piano epistemologico bensì quello civile e politico. Per dirla in breve, il pluralismo scolastico - come ogni altra specie di diritti sociali - ha una ben diversa valenza in una comunità politica sorretta dal Welfare State, come in genere sono gli stati europei, e in una fondata su una coerente logica di mercato. Nella seconda, la piena libertà di insegnamento potrebbe estendersi fino all'abolizione della lettera 'X' che troppo somiglia alla croce - come proposto dalla Commissione saudita per la Promozione della Virtù? giacché ognuno paga del suo e nessuno può esigere che sia la collettività a farsi carico delle sue scelte educative: in compenso, alla più completa libertà scolastica corrisponde l'abolizione del valore legale dei titoli di studio e il correlativo potere di un istituto di astronomia di non assumere il laureato in fisica tolemaica che non riconosca le teorie di Copernico e di Galileo.
Poiché il caso di una società welfarista è completamente diverso, il richiamo di Samek Lodovici alla «reale ed effettiva libertà di scelta» scade a pura retorica. Il suo discorso non avrebbe fatto una piega (al di là dell'antiquata idea della scienza) se non avesse tirato fuori, con tanta insistenza, i compiti dello Stato. Eh no, caro Professore, anche noi laici conosciamo un po' di latinorum e quello nostro ci ricorda il principio aureo della sovranità popolare, altre volte evocato in queste pagine: «quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet», ciò che riguarda tutti deve essere dibattuto e approvato da tutti. Nessuno vieta, che ne so, ai legionari di Cristo di insegnare quello che vogliono, ma se rivendicano il sostegno economico dello Stato e il riconoscimento dei loro diplomi e delle loro lauree, dal momento che «lo Stato siamo noi», debbono convincerci che le conoscenze impartite ai loro allievi sono per noi utili e indispensabili. «È la democrazia, bellezza!».
Il pluralismo è una gran bella cosa se nessuno ci rimette del suo; ma se si fosse costretti un domani, attraverso il prelievo fiscale, a destinare una quota sia pur minima di reddito al sostentamento delle madrasse islamiche - la quintessenza dell'intolleranza e della superstizione religiosa - si rischierebbe di riscoprire, forse, le potenzialità«liberali» dei giacobini ovvero di quei nemici implacabili del pluralismo che all'Hotel l'Epée di Quimper avevano scritto: «In questo locale è vietato sputare per terra e parlare bretone!» (Chissà cosa avrebbero pensato i seguaci di Robespierre se si fossero imbattuti nei pluralisti del nostro tempo, che non si accontentano della libertà di "parlare bretone", ma vogliono che tutti i cittadini mettano mano al portafogli per finanziare le scuole bretoni e, semmai, imporre il bretone nelle insegne e nei registri pubblici).
Dino Cofrancesco è docente di Storie del pensiero politico all'Università di Genova.


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