Secolo XIX: Cattedre "blindate"i giovani ricercatoririmangono precari
università Nell'ateneo genovese l'età media dei prof più altae il dottorato diventa una "trappola" senza uscita
Cattedre "blindate"i giovani ricercatoririmangono precari
Genova. Nel Paese dei sogni, a Danilo Bruno, col suo 110 e lode in fisica a 23 anni seguito da un dottorato in matematica e da otto pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali, si aprirebbero le porte della carriera accademica. Non in Italia. Dal 2003 Bruno, oggi 31enne, lavora per il Dipartimento di matematica dell'Università di Genova con contratti precari, di un anno, a 1.240 euro netti al mese. Stipendio che lui definisce "buono", ma che non è paragonabile al trattamento di un ricercatore americano, 2mila euro netti mensili e contratto non di uno ma di cinque anni. E mentre in America i più bravi, allo scadere dei cinque anni, ottengono il rinnovo per altri cinque e infine la tenure, il posto fisso, in Italia la carriera di Danilo Bruno è appesa a un filo. «Gli assegni di ricerca - spiega - non possono essere rinnovati per più di quattro anni. Il 2008 sarà il mio quarto anno. Poi spero che l'Università mi assuma».
Creati nel '97 dal ministro Luigi Berlinguer, gli assegni di ricerca si sono moltiplicati: oggi se ne contano 9.834. Costano poco: Irpef-esenti, finanziati metà dall'ateneo e metà da contratti di ricerca o convenzioni con aziende o istituzioni locali, senza assicurazione in caso di gravidanza o malattia. Offrono pochissimo: dovevano servire da periodo di prova in vista dell'assunzione a tempo indeterminato, per giovani con laurea e dottorato, ma soltanto il 30% degli assegnisti, scaduto l'assegno, ha trovato il posto fisso .
Stando alla legge (decreto ministeriale 11-2-98) l'assegno spetta a chi ha conseguito il dottorato di ricerca, o si è perfezionato all'estero dopo la laurea o ha svolto "una documentata attività di ricerca presso soggetti pubblici e privati". A persone scientificamente formate e autonome, chiamate a collaborare alla "realizzazione di un programma di ricerca o di una fase di esso". In realtà, più della metà degli assegnisti (5.590) non ha il dottorato ma è fresca di laurea, senza precedenti esperienze di ricerca salvo la tesi. Quello che doveva essere uno strumento di rinnovo della carriera universitaria ha insomma creato un esercito di precari con poche possibilità di raggiungere l'inquadramento stabile e senza sbocco fuori dall'Università. L'esercito spera ora nel "piano straordinario" con cui il ministro Fabio Mussi prevede di assumere tramite concorso 10 mila nuovi ricercatori, a tempo indeterminato, per i prossimi 10 anni. «Spero in un concorso - dice Bruno - anche se i presupposti non sono rosei, perché nella mia facoltà gli ultimi professori andati in pensione non sono stati ancora sostituiti».
L'Università italiana è vecchia, con più della metà dei docenti compresa tra i 50 e i 75 anni, mentre quelli con non più di 34 anni sono appena il 5,5%, contro il 13% della Francia, il 21% della Spagna e il 31% del Regno Unito. Ne consegue che nei prossimi dieci anni, circa 30 mila docenti andranno in pensione, liberando risorse per i giovani. A rigor di legge però le università in difficoltà finanziaria, come quella di Genova, non potranno impegnare oltre il 35% delle risorse liberate dal turnover. In altre parole: ogni tre ricercatori in pensione potranno prenderne uno.
Quanto al piano straordinario, il governo ha stanziato 20 milioni di euro per far entrare una prima tranche di ricercatori entro il 2007, ma il Consiglio di Stato non ha ancora approvato il regolamento per i nuovi concorsi. Senza il quale il piano di Mussi è fermo.
L'Università di Genova, che come illustra la tabella in questa pagina ha i docenti più vecchi d'Italia, non può aspettare. L'età media dei professori ordinari, il gradino più alto della carriera, è di 60,3 anni (58,7 in Italia). Quella dei ricercatori, il gradino più basso, 47,5 (44,7). «L'Università? dice Sergio Maria Carbone, professore ordinario, a Genova, di diritto internazionale - deve liberare il più possibile le sue risorse a vantaggio dei giovani». A tal fine Carbone, che ha 66 anni, si dice «favorevole al volontario prepensionamento dei docenti con maggiore anzianità di servizio purché sia data loro la possibilità di continuare ad insegnare, con contratti a tempo determinato, e di mantenere la facoltà di eleggere e di far parte delle commissioni giudicatrici dei concorsi». Difficile credere che i suoi colleghi e coetanei saranno d'accordo, con uno stipendio medio di 5 mila euro al mese e 120 ore di lezioni l'anno. E con un'età della pensione dei professori, che in tutto il mondo è di 65 anni, in Italia arriva a 75.
Francesco Margiocco