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Se ritorna l'ignoranza. L'insostenibile assalto alla scuola per tutti

Il sistema nazionale dell’istruzione ha tolto il Paese dal sottosviluppo culturale. La politica dei tagli rischia di riportarci in quella situazione. Eppure è dimostrato che esiste un legame tra scolarità e crescita dei redditi

08/10/2011
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l'Unità

Tullio De Mauro

Defunto cinque anni fa, l’anno stesso della scomparsa di Augusto Pinochet di cui fu apprezzato collaboratore, Milton Friedman, premio Nobel per l’Economia nel 1976, ha passato l’ultima parte della sua vita a sostenere con calore una sua idea: ridurre o azzerare il ruolo delle scuole pubbliche e dare un buono individuale, un vaucher, a chi proprio ha voglia di istruirsi in una qualsiasi scuola. La scuola pubblica aperta a tutti, resa addirittura per gran parte obbligatoria e gratuita dalla Costituzione italiana e da altre moderne costituzioni europee, sarebbe un’invenzione dell’illuminismo settecentesco, anzi del socialismo. Dal punto di vista storico l’idea di Friedman è del tutto sbagliata. Le scuole pubbliche obbligatorie e gratuite cominciarono il loro cammino due secoli prima dell’illuminismo, tre secoli prima del socialismo. Mossero i primi passi nei primi decenni del Cinquecento nei Paesi della Riforma e con motivazioni anzitutto etiche e religiose. Poter leggere direttamente e capire i testi sacri serviva alla fede e a salvarsi l’anima. Di là le scuole pubbliche si sono diffuse nei continenti e nel mondo di pari passo con il diffondersi del bisogno non più religioso, ma sociale del leggere, scrivere e far di conto. Questo bisogno ha avuto e ha anzitutto una componente economica. Dato che il ministro dell’Economia del nostro governo attuale pensa e dichiara che “con la cultura non si mangia” vale la pena ricordare, forse non solo a lui, che è accertatamene vero il contrario. L’anno scorso Robert J. Barro e Jong Wha Lee, due studiosi statunitensi ben noti agli economisti, hanno pubblicato una grande indagine, commissionata dall’Asian Development Bank, svolta su centocinquanta Paesi del mondo tra il 1950 e il 2010 per esaminare se c’è una correlazione tra sviluppo della scolarità e crescita dei redditi. La correlazione positiva è indubbia. La scolarità crescente spinge in alto i redditi, come è avvenuto tra l’altro nell’Italia postfascista. In particolare nei Paesi ricchi è significativo l’aumento di reddito legato all’aumento dell’istruzione mediosuperiore e universitaria. Senza crescita dell’istruzione anche ai livelli alti le economie rischiano la stagnazione e il declino, come stiamo rischiando nell’Italia di questi anni. La scuola pubblica italiana ha tratto fuori il Paese dal sottosviluppo culturale. Nel 1950 avevamo i livelli di scolarità dei Paesi sottosviluppati, in media tre anni di scuola a testa, quando già gli altri Paesi del nord del mondo (compresi i Paesi socialisti) viaggiavano sui sette, otto anni pro capite. Oggi questo è l’indice medio dei Paesi sottosviluppati, poiché la scuola è andata avanti dappertutto. La spinta a scolarizzarsi e la nostra scuola ci hanno portato a dodici anni medi di scuola a testa, siamo entrati nel gruppo dei Paesi sviluppati, in coda, molto in coda, come l’Ocse non manca di ricordarci ormai ogni anno, ma non più in condizione di sottosviluppo. Ma questa condizione ci minaccia da presso. Troppa parte della popolazione italiana non ha titoli scolastici superiori alla scolarità di base: poco oltre il 30%, contro percentuali del 60,70%negli altri Paesi ricchi o, come si dice, sviluppati. E le indagini a campione sui livelli di persistenza delle competenze alfabetiche degli adulti, una volta usciti da scuola anche con titoli alti, danno un quadro per noi assai negativo: i dealfabetizzati in età adulta sono legione, solo il29%della popolazione in età di lavoro (15-64 anni) ha un buon rapporto col leggere, scrivere e far di conto. Dei Paesi studiati solo la Sierra Leone ha percentuali peggiori delle nostre. Ma poca scuola non comporta solo un rischio di declino per l’economia. A questa non pensavano i padri costituenti nel costituzionalizzare l’obbligo scolastico: pensavano e dichiaravano che la crescita della scolarità fosse un elemento decisivo, fondante, di partecipazione effettiva alla vita democratica. Il rischio dell’ignoranza è un rischio per la democrazia effettiva del nostro Paese. Come Piero Calamandrei previde lucidamente negli anni Cinquanta e come vent’anni dopo prefigurava il documento programmatico della P2, il cammino di un nuovo fascismo strisciante comincia dall’attacco, oltre che alla magistratura, alla scuola pubblica, ai suoi insegnanti, alla sua vita. È questa la partita che si sta giocando 


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