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Se Renzi ama la scuola sostenga l'istruzione pubblica

Il premier lo ha ridetto: sarà una priorità. Ma lo avevano detto anche Berlusconi, la Moratti, la Gelmini. Il come conterà molto

25/02/2014
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da Globalist

di Fabio Luppino

La scuola è sempre una priorità dichiarata. Vi ricordate le tre "i" di Berlusconi? Nelle aule non vi è traccia. Anche la Moratti si è battuta, così come la Gelmini. L'unica cosa di cui si è occupato fattivamente e con esiti disastrosi il governo Berlusconi nato nel 2008 è stata la scuola. Quindi, una rondine non fa primavera e come per tasse e riforme più o meno indicate, non saranno le visite del mercoledì a segnalare la politica del nuovo governo sulla scuola, bensì i fatti. E per essere vero amore, per essere una priorità, deve partire da un assunto principale: più scuola, in tutti i sensi, nell'agire politico, come dato strategico.

Renzi anche qui deve fare i conti con la variegata maggioranza e con il ministro nominato, che proprio un alfiere del pubblico non è. O il premier ci mette la faccia, ma nella direzione auspicata da chi fa scuola o il corpo docente, gli operatori scolastici tutti, gli gireranno le spalle appena potranno farlo, a partire dalle elezioni europee.

La scuola è la chiave per rendere la società più giusta. E allora il principale sforzo del governo deve passare per la riqualificazione totale dell'istruzione pubblica e smetterla una buona volta con propositi vuoti, più merito, più lingue, più efficienza, più rapporto con il mondo del lavoro sempre, sostanziati dal nulla o da aggiunte che vanno nella direzione contraria a quella auspicata. Qualsiasi intervento deve per forza partire dall'edilizia scolastica. La selezione più odiosa si fa anche in questo modo. Un terzo delle scuole italiane è fuori norma per la sicurezza, più della metà manca di spazi adeguati. Fino ad ora le risposte sono state la diminuzione delle ore e l'aumento degli alunni per classe; gli accorpamenti degi istituti nel caso in cui uno dei due non arrivi a oltre cinquecento alunni, che significa un preside per due scuole con un'attenzione minima per entrambe o solo per una; l'eliminazione dello studio di due lingue straniere alle superiori contravvenendo alla direttiva europea in materia; il dimezzamento dei fondi d'istituto. Vada, premier, dove è orribile ogni giorno fare scuola, eppur si fa, malgrado voi.

Ma Renzi lo sa che le scuole stanno in piedi grazie ai contributi volontari diventati obbligatori delle famiglie? Si faccia dare tutte le informazioni. Ci spieghi anche il premier cosa vuole fare del ventilato progetto di riduzione delle superiori a quattro anni. Ci spieghi il senso, se un senso ha questa cosa così tanto auspicata da chi a scuola non ci mette piede, utilizzando litanie trite: succede in molti paesi europei (non è vero); aiuta l'ingresso nel mercato del lavoro (non è vero); consente di utilizzare l'ultimo anno per la preparazione ai test d'ingresso all'università. In cambio, se non c'è un progetto culturale serio, spiegato, discusso in Parlamento (la riforma Gelmini è passata senza un secondo di dibattito parlamentare in forza di una delega data al governo) si avrà solo e semplicemente meno istruzione, che si accumulerà a quella perduta negli ultimi dieci anni.

Ce ne sarebbero moltissime di cose da mettere nell'agenda del premier. Una ultima è basilare. Dovrà riuscire a fermare la mortificazione che della scuola si fa e di cui la classe politica italiana tutta è la principale responsabile. Lo svilimento dell'istruzione e di chi lavora nel settore è stato uno degli sport preferiti dalla politica neli ultimi dieci anni. Quando con plateali prese di posizione contro gli insegnanti, quando con l'indifferenza, evitando che diventasse oggetto di battaglia sociale. I professori vanno sostenuti sempre, vanno valutati con rigore da persone a loro volta rigorose, vanno pagati come è giusto che sia per persone che svolgono una funzione così decisiva per la società. Vanno cacciati dalla scuola gli incapaci e aiutati quelli che lo fanno per vocazione o che comunque si impegnano davvero. Va riconosciuto uno status stipendiale degno. Solo in Italia gli insegnanti viaggiano molto, ma molto al di sotto dei duemila euro netti al mese. Un requisito che ha spinto moltissimi e capaci ad allontanarsi dalla professione insegnante e che ha contribuito alla femminilizzazione del lavoro docente. Come ghetto, non come premio. 


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