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Se non avessi conosciuto Patrizia Aldovrandi

Andrea Satta - musicista e scrittore

31/03/2013
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l'Unità

SE NON AVESSI CONOSCIUTO PERSONALMENTE PATRIZIA ALDROVANDI E ILSUO DOLORE INCAN CELLABILE,SE NON FOSSI STATO A GENOVA NEI GIORNI DEL G8 E VISTO COSA SUCCEDEVA,se non fossi scappato dalla classe per andare ai funerali di Berlinguer, se non mi ricordassi della speranza di tre milioni di persone in piazza a Roma per l’articolo 18, se non avessi negli occhi la felicità della sera dei referendum sull’acqua pubblica, se non avessi abbracciato gli operai della Breda di Sesto San Giovanni, già malati di mesotelioma pleurico e ascoltato le loro storie di fine vita, se non fossi stato al cancello della Fiat di Melfi dentro una gabbia insieme ai tre operai licenziati, qualche anno dopo quell’aprile di rivolta, se non fossi andato a Gioiosa Jonica con Don Ciotti a inaugura re il murales restaurato in omaggio al mugnaio Rocco Gatto ucciso dalla n’drangheta, se non fossi stato a Cinisi un nove di maggio a trovare Peppi no Impastato con migliaia di ragazzi da tutta Italia e gli sguardi della città nascosti dietro le persiane, se non avessi lavorato in un reparto di oncologia pediatrica, se non avessi visto mamme stranie re non sapere come comprare la tachipirina e il latte, potrei anche appassionarmi ai dibattiti in tv. Ma l’altro giorno, andando in ambulatorio, mi è entrata in macchina una radio. Un certo Mario, trasportatore di mozzarelle, era al telefono infuriato per l’insufficiente rendimento del centro campista della Roma De Rossi, nonostante lo stipendio di vari milioni di euro l’anno. Il conduttore lo ha zittito dandogli del qualunquista, replicando come il giocatore soffrisse per il disagio psicologico derivante dall’essere stato messo in discussione nel suo ruolo. Può essere, mi sono detto. Ma io conosco Filomena. Filomena ha 36 anni, sei più di De Rossi e farebbe l’insegnante. Ha tre figli piccoli e vive nella periferia romana. Ogni mattina, si organizza con una vicina che le porta i figli a scuola, prende il treno dei pendolari e va. A lavorare? No, ad aspettare. Lei aspetta alla Stazione Termini, ogni mattina fino alle 9, che una scuola la chiami per la supplenza perché, se non disponibile, lei scivola in fondo alla lista. Possono chiamarla tutti i giorni fino alle 9 per la supplenza. Filomena non farebbe mai in tempo a rispondere «presente» se aspettasse la chiamata a casa, perché vive a 40 chilometri dal centro e allora prende il treno a va. Se Filomena lavorasse, mille dei suoi stipendi farebbero un mese di De Rossi. Ma forse il problema non è questo. Il problema è che Filomena va ad aspettare per lavorare. E se mai la chiamassero come potrebbe essere serena ad insegnare? Qualcuno se lo chiede? Eppure lei vive nella speranza che la chiamino, serena o no. Sarà populismo?


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