Se la scuola parla con il mondo del lavoro la disoccupazione tra i giovani cala del 5%
Un investimento di 2-3 miliardi per riformare la scuola avvicinandola al mondo del lavoro e alle imprese produrrebbe un effetto a lungo termine sull'economia ben visibile: almeno 4-5 punti in meno di disoccupazione giovanile e un aumento del reddito pro-capite tra i 1500 e i 2500 euro
Marzio Bartoloni
Un investimento di 2-3 miliardi per riformare la scuola avvicinandola al mondo del lavoro e alle imprese produrrebbe un effetto a lungo termine sull'economia ben visibile: almeno 4-5 punti in meno di disoccupazione giovanile e un aumento del reddito pro-capite tra i 1500 e i 2500 euro. Le stime sono contenute nell'ottava edizione del rapporto "Generare classe dirigente", curato dalla Luiss Guido Carli e Fondirigenti che quest'anno si è focalizzato sul passaggio tra istruzione e vita lavorativa dei giovani.
Apprendimento «rimandato» e poco peso alla motivazione
Il report per la prima volta ha puntato su un'analisi non sulla classe dirigente, ma da classe dirigente. Indicando la strada da percorrere per costruire questo ponte con il lavoro fin dai banchi di scuola. Tre i principi cardine di questa possibile riforma: l'autonomia degli istituti scolastici; l'accountability, cioè la trasparenza dei risultati dell'apprendimento combinata alla responsabilità sugli stessi; il confronto e la competizione da coltivare, in diverse forme, tra gli istituti scolastici. Puntando in particolare su alcune aree critiche su cui lavorare: l'inadeguatezza dell'apprendimento «rimandato«, con i debiti formativi (oggi «carenze«) che non hanno dato i risultati sperati, con il 17,4% degli studenti che non ha interamente recuperato i propri; la necessità di riportare la motivazione al centro, e non solo la valutazione, degli studenti (il 60,9% dei docenti è molto o abbastanza preoccupato per il passaggio alla vita lavorativa degli studenti). E, ancora, l'importanza della costruzione delle competenze trasversali, che le aziende cercano e non sempre trovano; o il livello di istruzione della nostra classe dirigente, più basso, in media, di quello degli altri Paesi europei (solo il 39,5% dei dirigenti italiani tra i 30 e i 65 anni è laureato).
Mancano processi di «giunzione» tra scuola e lavoro
Il nodo principale resta però soprattutto la mancata efficacia dei processi di «giunzione» tra la formazione e il lavoro oggi troppo frammentati o affidati al fai da te (i giovani chiedono informazioni ai paraenti, agli amici o consulta internet). Basti pensare che solo il 2% trova lavoro attraverso gli uffici di collocamento. Servono invece rapporti più stretti tra scuola e lavoro, come accade a esempio in Germania. «Il nostro Paese da qualche tempo sta tentando di fare un salto di qualità, come con il recente decreto istruzione e con l'introduzione dell'alternanza scuola lavoro - ha spiegato Ivan Lo Bello, vice presidente Confindustria per l'Education -, ma bisogna accelerare perché il terreno da recuperare verso gli altri Paesi è ancora molto». All'incontro ha partecipato anche il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, con un intervento sulla responsabilità che la classe dirigente è chiamata ad assumersi nell'opera di contrasto alla criminalità organizzata. In particolare Pignatone ha posto l'accento sull'importanza che educazione e formazione hanno nella promozione della cultura della legalità, fra i giovani, come contrasto ai fenomeni mafiosi.