Se la borsa di studio diventa un miraggio. Italia ultima in Europa
La Francia eroga 525mila sostegni, la Germania 510mila: da noi sono 150mila
Dice una nota canzone di lotta degli anni 60 che «anche l’operaio vuole il figlio dottore». Erano gli anni del boom economico e le fasce più deboli della popolazione si affacciavano per la prima volta all’istruzione superiore, all’università che sarebbe diventata “di massa”. A distanza di 40 anni si può ancora dire che secondo dettato costituzionale, «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» (art. 34)? «Non per tutti, la condizione delle famiglie è cambiata con la crisi, i genitori non possono più permettersi non solo l’iscrizione agli atenei dei figli ma anche tutto quello che comportano in spese per i libri, l’alloggio, e i trasporti», nota Claudio Riccio, portavoce nazionale della Rete della Conoscenza, organizzazione che riunisce universitari, dottorandi, accademici e che si occupa proprio del tema del diritto allo studio. «All’Università si sta creando una selezione di censo, gli effetti saranno sotto gli occhi di tutti fra circa 4 anni». Il fatto è che l’Italia è da sempre carente su questo terreno. In Francia e in Germania (che hanno all’incirca lo stesso numero di studenti del nostro paese) beneficiano della borsa di studio rispettivamente 525mila e 510mila iscritti contro i 150mila del Bel Paese. Anche la Spagna investe nel diritto allo studio3volte che l’Italia (dati: Osservatorio regionale del Piemonte per l’Università e per il diritto allo studio universitario). Il governo Berlusconi ha tagliato del 94% (in tre anni) il fondo per le borse di studio, portandolo dai 246 Milioni di euro del 2009 a 26 Milioni nel 2012. Per l’anno 2013 il finanziamento previsto è di soli 12,9 milioni, ovvero il 95% in meno rispetto al 2009. Inoltre solo nello Stivale è presente la figura dell’“idoneo non vincitore” (quest’anno sono stati 45mila)e cioè una persona che avrebbe i requisiti giusti, di reddito e di merito, per accedere alle borse di studio o alla casa dello studente ma non può usufruirne perché è lo Stato a non avere le risorse per erogarle. O meglio le Regioni. Il diritto allo studio è infatti ad oggi articolato su base regionale, con gli enti territoriali per il diritto allo studio. E con i tagli agli enti locali sono state diverse le Regioni che non sono riuscite a garantire la copertura dei servizi. I casi che fanno scuola sono quelli del Piemonte e del Lazio. Il Piemonte fino a due anni fa era considerata una regione modello per i servizi agli studenti con reddito basso. Ora il completo cambio di rotta della giunta leghista: zero euro in bilancio e dal 100%di borse di studio erogate agli aventi diritto con la precedente amministrazione si è passati al30%. Che significa che 8mila ragazzi quest’anno non riceveranno nessun contributo. Più o meno la stessa situazione si è verificata nel Lazio di Renata Polverini. Qui le borse di studio sono pagate con un tale ritardo che gli studenti si ritrovano senza le risorse promesse e necessarie per pagare l’affitto, i libri, le spese. La giunta Polverini ha tagliato nel corso della sua legislatura diverse volte i fondi per il diritto allo studio, nella regione che ospita La Sapienza di Roma, ossia l’ateneo più grande d’Europa. Gli studenti iscritti in Piemonte e nelle università del Lazio protestano da mesi ma non sono pochi gli esperti che ritengono che queste due regioni non rappresentino un’eccezione ma, al contrario, quello che succederà da qui a poco in tutto il resto del paese. All’analisi del Consiglio dei ministri oggi ci sarà infatti un decreto di riforma della materia concepito però dall’ex ministro Maria Stella Gemini e lasciato in “eredità” al governo Monti. Tra i nodi l’aumento di tutte le tasse regionali per il diritto allo studio che potrà arrivare fino a 200 euro a fronte di finanziamenti ulteriormente ridotti, «come dire che il diritto allo studio se lo pagheranno gli studenti con le loro tasse», nota Luca Spadon, portavoce di Link, associazione che riunisce gli atenei di oltre 14città. «Siamo il terzo paese in Europa per tasse universitarie ma senza politiche sul diritto allo studio e senza politiche per gli studenti lavoratori, che poi vengono pure definiti “sfigati”». Allo studio anche l’innalzamento del limite di 16 mila euro di Isee (oggi è 18 mila) per partecipare ai bandi. Il che porterebbe a un’ulteriore restringimento dell’utenza del 10%. «Una famiglia media ha circa 35 mila euro di Isee, a 18 mila è già molto povera, restringere ancora significa impedire a nuclei in difficoltà la possibilità di prendere i benefici», spiega ancora Link. Sullo stesso punto si battono anche i Giovani democratici: «La è situazione problematica, vogliono risolvere il problema degli idonei non vincitori diminuendo il numero degli idonei», commenta Carlo Mazzei, responsabile Università Gd di Roma. Rimangono nel decreto anche i riferimenti al prestito d’onore, uno strumento che finora ha funzionato male e con il quale, sostanzialmente, lo studente si indebita. Critica anche Federica Laudisa, ricercatrice all’Osservatorio regionale del Piemonte per il diritto allo studio: «se rimangono questi i finanziamenti lo Stato non ce la farà a pagare le borse di studio secondo i parametri previsti dal decreto della Gelmini, mancano fondi e le Regioni faranno le loro valutazioni politiche. Saranno ancora di più gli studenti che pur avendo i requisiti rimarranno esclusi. È un contesto critico e non si vedono spiragli». In pratica: «il decreto non è coperto da un’adeguata copertura finanziaria che, peraltro, non è nemmeno stabilita. Se lo Stato è in crisi economica, e lo è, i soldi saranno messi su altro ». «Le scelte politiche degli ultimi anni e la crisi hanno avuto un solo risultato – conclude Link - che è diventato difficile pagarsi gli studi. Stiamo tornando a un’università d’elite».