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Se il gender a scuola aiuta a combattere le discriminazioni
di Michela Marzano
05/10/2016
la Repubblica
UNA cosa è la persona che ha una tendenza omosessuale o anche che cambia sesso», ha detto l’altro giorno Papa Francesco per spiegare quanto dichiarato in Georgia a proposito dell’ideologia gender. «Un’altra è fare insegnamenti nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: io chiamo questo colonizzazione ideologica», ha concluso il Pontefice. Ma a quali insegnamenti si riferisce esattamente Papa Francesco? Che cosa vuol dire “cambiare la mentalità”? Cos’è questo benedetto “gender” di cui tanto si parla e che, di fatto, è solo il termine inglese per il quale esiste ovviamente una traduzione italiana, ossia l’espressione “genere”?
Papa Francesco non fa altro che ripetere quanto già detto altre volte: il gender a scuola è un’ideologia pericolosa. Dando così credito a quanti sostengono che ormai, nelle scuole, si insegnerebbe ai più piccoli che possono scegliere se essere ragazzi o ragazze, cambiare sesso a piacimento, e decidere quali tendenze sessuali privilegiare o meno. Ma è questo che si insegna a scuola oggi? Se veramente fosse così, anch’io sarei molto preoccupata. Come potrebbero d’altronde raccapezzarsi un bimbo o una bimba se venisse detto loro che tutto si equivale, che non c’è alcuna certezza identitaria, e che si può essere di giorno ragazzi e di notte ragazze o viceversa? Il punto, però, è proprio qui: a nessuno passa oggi per la testa di colonizzare la mente dei bambini con tali fandonie, tali bugie, tali assurdità. Perché è di questo che si tratta quando si pretende che sesso, genere e orientamento sessuali siano solo il frutto di una scelta e che basterebbe quindi insegnare ai più piccoli il valore delle decisioni individuali affinché diventino omosessuali o trans, «giustificando e normalizzando ogni comportamento sessuale », come scrivono associazioni come ProVita, Giuristi per la vita o la Manif Pour Tous Italia. «Lasciate che le ragazze siano ragazze. Lasciate che i ragazzi siano ragazzi», recita lo slogan di un video prodotto proprio per spiegare «l’ideologia gender in meno di tre minuti», senza rendersi conto che, mischiando realtà, fiction e fantasmi, sono questo tipo di spot a creare confusione e paura.
Ma procediamo con ordine. Cosa si sceglie nella vita? Cosa si costruisce o si decostruisce a piacimento? Di scelte, nel corso della propria esistenza, se ne fanno molte. Nessuna, però, riguarda il proprio essere donna o uomo, oppure la propria eterosessualità o la propria omosessualità. Il genere e l’orientamento sessuale non si scelgono, non si cambiano, non si curano. Sono elementi dell’identità di ciascuno di noi, quell’identità con la quale, prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti, anche quando ci sono cose che vorremmo che fossero diverse, cose che magari non sopportiamo di noi stessi, cose con le quali, però, non possiamo far altro che convivere. E allora capita — perché la vita è anche questo — che un bambino, fin da quando è piccolo, sia profondamente convinto di essere un bimbo nonostante si ritrovi prigioniero di un corpo femminile, e allora sia costretto a passare anni ed anni a cercare di risolvere il divario drammatico e doloroso che vive tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico, senza alcuna volontà di sovvertire “l’ordine naturale delle cose”, al solo scopo di trovare una qualche armonia con se stesso. Esattamente come capita che, fin da quando è piccola, una bambina sia attirata dalle altre bimbe senza per questo essere meno bambina delle amiche o delle compagne attirate dai bambini. L’orientamento sessuale, esattamente come l’identità di genere, non è una “tendenza” che si può o deve contrastare; è un modo di essere e di amare il cui valore non cambia solo perché si è omosessuali invece che eterosessuali, e quindi si amano persone dello stesso sesso invece che persone dell’altro sesso. L’unica cosa che si può “costruire” o “decostruire” è la rappresentazione che ci si fa del proprio genere o del proprio orientamento sessuale, imparando o meno ad accettarsi per quello che si è, senza cedere alle pressioni di chi vorrebbe che fossimo diversi da come siamo.
Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi che c’entra la scuola in tutto questo, e perché si dovrebbero affrontare tematiche legate al genere o all’orientamento sessuale con i più piccoli invece che, come ripetono in molti, limitarsi a insegnare loro a leggere, scrivere e contare. Ma lo scopo della scuola non è anche, e forse soprattutto, quello di aiutare le bambine e i bambini a trovare le parole giuste per qualificare quello che vivono, mettere un po’ di ordine nel mondo che li circonda e riuscire a non vergognarsi per quello che sono e quello che provano? Uno degli scopi della scuola non è anche quello di costruire i presupposti di un vivere- insieme in cui ci si accetta reciprocamente indipendentemente dalle proprie differenze? Non stiamo assistendo, proprio in questi ultimi mesi, a episodi di bullismo e di violenza verbale o fisica nei confronti dei “diversi”?
È strano che proprio coloro che vogliono tanto difendere i propri figli non siano poi sensibili ai tentativi che si stanno cominciando a fare nelle scuole proprio per proteggere tutti i bambini e tutte le bambine, insegnando che essere una ragazza non significa né essere inferiore a un ragazzo né amare necessariamente le bambole o il colore rosa, oppure che un maschietto resta un maschietto anche se non è attirato dalle bambine. È strano che anche il Papa, che pure spiega che “la vita è vita e le cose si devono prendere come vengono”, prenda alla lettera le fandonie di chi ripete che a scuola si insegna a scegliere il proprio genere e il proprio orientamento sessuale, mentre di fatto si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di cui sono vittime innocenti le persone omosessuali e trans, che non hanno scelto niente, appunto, esattamente come le persone eterosessuali.