Scuole chiuse, bambini al lavoro
Nei paesi poveri l'abbandono scolastico, aggravato dai lockdown, porta all'aumento dell'occupazione minorile. Due documenti Unicef e Ilo
Davide Orecchio
Novembre 2020. Undicesimo mese della pandemia. Quattro mesi di scuola persi dagli studenti dei paesi poveri. Lo spiega un rapporto Unicef/Unesco/Banca Mondiale. Le scuole chiuse non fanno male allo stesso modo. E quelle che hanno riaperto non hanno riaperto allo stesso modo.
C’è dell’altro. Nei paesi a basso reddito, finita l’emergenza coronavirus, è forte il rischio che non tutti gli studenti tornino sui banchi. L’abbandono scolastico aumenta, ristagna e tracima nel fenomeno parallelo del lavoro minorile. Lo spiega un paper dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Due allarmi per una certezza: le scuole chiuse impoveriscono i più poveri.
L’Unicef lo dice a chiare lettere: “C'è un urgente bisogno di monitorare il disimpegno degli studenti e l'abbandono scolastico”, occorre “evitare il rapido aumento del numero di bambini e giovani fuori dalla scuola”. L’Ilo, nel suo documento sull’attacco del Covid ai diritti, ricorda che la chiusura temporanea delle scuole ha colpito più di 1 miliardo e mezzo di bambini e giovani in tutto il mondo. Ma nella parte di mondo che sta peggio le conseguenze sono gravi: “Quando i bambini non vanno a scuola ed entrano, retribuiti, nel mondo del lavoro, è molto difficile poi riportarli in classe”.
La lezione - precisa l’Ilo - viene da un passato recente: Africa occidentale, 2014, pandemia da Ebola. Cinque milioni di bambini furono colpiti dalla chiusura delle scuole. Molti di loro non ci sono tornati. Sono aumentate le gravidanze non pianificate tra gli adolescenti, e i casi di matrimonio tra bambini. L’educazione delle ragazze, oberate da responsabilità domestiche e di cura, è crollata: in alcune zone rurali della Sierra Leone, ad esempio, è diminuita del 16 per cento nella fascia d’età tra i dodici e i diciassette anni, mentre l’impegno delle ragazze “nella creazione di reddito è aumentato di 19 punti percentuali”.
Le scuole chiuse non stanno privando i ragazzi di un’istruzione ma anche di protezione sociale: “In molti contesti svantaggiati causano un'interruzione dei programmi scolastici di alimentazione, che possono essere vitali per le famiglie vulnerabili”, prosegue l’Ilo. Le Nazioni Unite stimano che durante il picco di chiusura delle scuole 370 milioni di studenti in tutto il mondo sono stati privati dei pasti, aumentando il rischio di malnutrizione e compromettendo lo sviluppo dei più piccoli. A quel punto il lavoro minorile diventa una questione di sopravvivenza. Se non lavori non mangi.
Secondo l’Ilo il Covid potrebbe sabotare anni di progressi nella lotta al lavoro minorile, quantificabili in una generazione. Più di vent’anni. L’obiettivo preso dalla comunità internazionale di azzerare il lavoro minorile entro il 2025 si allontana. Si stima che dai 42 ai 66 milioni di bambini potrebbero cadere nella povertà estrema nel 2020, aggiungendosi ai 386 milioni di bambini rilevati nel 2019.
Quei quattro mesi di scuola persi dai poveri, di cui si parlava all’inizio, sono ancora più ulcerosi se si tiene conto di un altro dato diffuso da Unicef e Unesco (qui il rapporto completo, 150 paesi analizzati tra giugno e ottobre 2020): nei paesi ad alto reddito i ragazzi hanno perso sei settimane di scuola. Robert Jenkins, responsabile educazione Unicef, parla di una “devastazione che la pandemia ha causato all'apprendimento dei bambini in tutto il mondo. Nei paesi a reddito basso e medio-basso, questa devastazione è amplificata dal fatto che l'accesso limitato all'apprendimento a distanza, l'aumento dei rischi di tagli al budget e il ritardo dei piani di riapertura hanno vanificato ogni possibilità di normalità per i bambini in età scolare”. Per Jenkins “dare priorità alla riapertura delle scuole e fornire le tanto necessarie classi di recupero è fondamentale”.
Leggiamo nel rapporto: “Gli scolari dei paesi a basso e medio-basso reddito sono stati i meno propensi ad accedere all'apprendimento a distanza, quelli che hanno meno probabilità di essere monitorati sulla loro perdita di apprendimento, quelli che hanno più probabilità di avere ritardi nella riapertura delle scuole e quelli che hanno più probabilità di frequentare scuole con risorse inadeguate per garantire operazioni sicure”.
Ancora: “Mentre più di due terzi dei paesi hanno riaperto completamente o parzialmente le loro scuole, uno su quattro ha mancato la data di riapertura prevista o non ha ancora fissato una data per la riapertura, la maggior parte dei quali sono paesi a basso e medio reddito”; e, di questi, “quasi il 40% ha già sperimentato o prevede riduzioni del budget per l'istruzione nell'anno fiscale in corso o nel prossimo anno fiscale”.
Divario tecnologico, economico, culturale, educativo. Una somma che dà sempre zero: il numero è scritto col gesso bianco sulla lavagna di un’aula sigillata e lontana.