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ScuolaOggi-Tempo pieno: la fine delle compresenze. Cosa succede nelle scuole elementari milanesi (e non solo).

Tempo pieno: la fine delle compresenze. Cosa succede nelle scuole elementari milanesi (e non solo). Scuolaoggi e vari altri mezzi di informazione hanno dato notizia nei mesi scorsi dei ta...

23/09/2005
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ScuolaOggi

Tempo pieno: la fine delle compresenze. Cosa succede nelle scuole elementari milanesi (e non solo).
Scuolaoggi e vari altri mezzi di informazione hanno dato notizia nei mesi scorsi dei tagli apportati agli organici docenti nelle scuole primarie milanesi come, supponiamo, in molti altri comuni e regioni. Cosa comportano queste riduzioni di organico è ben chiaro a docenti e dirigenti scolastici che devono gestirne gli effetti nella loro realtà scolastica. Non lo è altrettanto, ce ne stiamo rendendo conto, ai "non addetti ai lavori", per coloro che operatori scolastici non sono. Per i genitori innanzi tutto ma anche per chi lavora nel settore dell'informazione.
Capita sovente, di questi tempi, che i dirigenti scolastici vengano interpellati da questo o quel redattore di giornale o radio che vuol capire qual è l'entità e quali sono le conseguenze dei tagli nelle scuole. Implicazioni non sempre chiare, appunto, al di là del fatto evidente che vi sono meno insegnanti.

Proviamo allora, nella maniera più semplice possibile, a dar conto, obiettivamente, di quello che succede nelle scuole primarie (la gran parte delle scuole elementari a Milano e provincia quest'anno ha avuto assegnato all'organico di istituto un docente in meno rispetto a quelli richiesti).

Innanzi tutto: la scuola a Tempo Pieno, sin dalla sua fase sperimentale ed innovativa (legge n.820/1971 sull'ordinamento della scuola elementare) e per tutti gli anni '70-80, prevedeva l'assegnazione di due docenti per classe, il "doppio organico". In quegli anni l'orario di lezione dei docenti di scuola elementare era di 24 ore settimanali. L'orario settimanale di frequenza degli alunni di 40 ore (mensa inclusa). Il monte ore complessivo dei docenti superava pertanto di gran lunga quello degli alunni (ad esempio: nel caso di due classi parallele, un totale di 80 ore di tempo scuola degli alunni delle due sezioni a fronte di 96 ore di presenza dei 4 insegnanti). Questo comportava che per un buon numero di ore (le 8 eccedenti il tempo scuola di 40 ore settimanali degli alunni della stessa classe) i docenti contitolari venivano a trovarsi ambedue presenti contemporaneamente, la cosiddetta "compresenza" appunto.

Praticamente, per quasi tutta la settimana, dal lunedì al venerdi, dalle 10,30 alle 12,30 in ogni classe di Tempo pieno si venivano a trovare entrambe i docenti contitolari. La presenza di due docenti consentiva di suddividere la classe in due sottogruppi, o di formare più gruppi con le classi parallele (in alcuni T.P. talvolta anche con altre classi, in verticale). Si potevano attuare quindi gruppi di alunni per attività di laboratorio, per livello di apprendimento (interventi di recupero), per gruppi di interesse, ecc. Le famose "classi aperte" (gli alunni di una classe che si "mescolano" e interagiscono con alunni di altre classi), che rompevano in tal modo il modello rigido dell'unità-classe (lo stesso gruppo di alunni fisso per cinque anni, per 40 ore settimanali). Sono evidenti gli aspetti positivi e "innovativi", sul piano delle "potenzialità" e delle condizioni favorevoli per l'apprendimento e la socializzazione, che tale modello didattico-organizzativo comporta.

Successivamente, a seguito del contratto nazionale di lavoro che portava da 24 a 22 le ore di lezione dei docenti elementari, il numero complessivo delle ore di compresenza si riduceva (nel solito caso, semplice, di 4 docenti su 2 classi vi sono ora 88 ore complessive a fronte delle 80 necessarie a coprire il tempo scuola degli alunni delle due sezioni, quindi 4 ore di compresenza su ciascuna delle due classi). 4 ore di compresenza settimanale in ogni classe era appunto la situazione più recente, confermata dalla legge n.148/1990 in tutte le classi a Tempo pieno, sino alla legge di riforma Moratti n.53/2003.

Il modello organizzativo delineato dalla legge 53/03 non prevede più l'assetto proprio del Tempo pieno classico (due docenti contitolari per classe) ma qualcosa di completamente diverso, un docente prevalente o tutor per classe più un numero non ben definito di insegnanti di laboratorio che intervengono su più classi. Nella legge 53 il tempo pieno classico (2x1) è un fatto puramente residuale, destinato ad estinguersi, mentre resta la possibilità di un tempo scuola massimo di 40 ore per gli alunni. Se questa è la filosofia della riforma, sul piano dell'organizzazione didattica, i recenti tagli degli organici aprono indubbiamente la strada alla sua attuazione.

Cosa succede dunque nelle scuole che hanno avuto un docente in meno? (parliamo del tempo pieno perché questa è la realtà scolastica più diffusa a Milano, ma conseguenze simili si hanno anche nelle scuole ove vi erano sezioni a modulo). Anche qui, per stare agli esempi più semplici: se vi sono tre nuove classi prime a 40 ore, negli anni passati queste avrebbero avuto assegnati 6 docenti, ora invece ne hanno a disposizione 5. Il tempo scuola complessivo degli alunni delle tre sezioni è di 120 ore, le ore complessive di presenza dei docenti sono 110. Per coprire le 10 ore mancanti si utilizzano le ore di religione e di inglese (sulle tre classi 9 ore in tutto) e si utilizza qualche altro docente per completare il quadro orario, ma il risultato è uno solo: non vi sono più ore di "compresenza" dei docenti contitolari. L'alternativa sarebbe ridurre il tempo scuola degli alunni, o almeno per una parte di essi. Tertium non datur.

Collegi docenti e dirigenti scolastici si sono poi sbizzarriti a ideare soluzioni organizzative tali da "contenere il danno" il più possibile (ad es. ripartire la perdita di un docente sulle classi di due plessi scolastici e non di uno, con mezzo posto in meno, cioè 11 ore, da una parte e mezzo dall'altra, e così via).
Si crea peraltro una situazione nuova nel rapporto docenti/classi. Non vi è più una "pari titolarità" (i due docenti della classe di T.P. avevano lo stesso orario di lezione e di relazione con gli alunni) ma i docenti hanno ora orari di presenza in classe diversi, in genere uno è fisso e svolge tutte le sue ore nella stessa classe, gli altri intervengono a rotazione con orari differenti su più classi.
In tutti i casi, se si vogliono garantire 40 ore di scuola agli alunni, il numero delle ore di compresenza viene inevitabilmente ridotto (è matematico) e l'orario di presenza dei docenti è finalizzato a coprire esclusivamente o prevalentemente il tempo scuola degli alunni.

Cade così pressoché ogni possibilità di formare gruppi di alunni, classi aperte, laboratori per piccoli gruppi, ecc. Per questo Scuolaoggi ha parlato, giustamente, di "inizio della fine del tempo pieno", perché l'assetto del tempo pieno storico viene drasticamente cambiato e viene meno proprio uno dei suoi aspetti qualificanti, uno dei suoi "punti di forza" (almeno sul piano delle "potenzialità" didattiche ed educative). E per questo da tempo, e da più parti, si è sostenuto che le 40 ore di cui parlava la Moratti non erano la stessa cosa delle 40 ore del Tempo pieno. Ora le "40 ore Moratti" entrano finalmente in vigore, e le scuole cominciano di fatto ad attuare (o sono costrette ad attuare) in maniera generalizzata questo modello, effetti collaterali inclusi.

Gianni Gandola


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