ScuolaOggi: Storia di scuola e autonomia
Sempre più frequentemente in dibattiti e convegni , in assemblee sindacali , come sulle riviste specializzate, affiora un interrogativo che sembra attanagliare gli operatori della scuola, ma anche gli osservatori esterni, oggi: l’autonomia scolastica è fallita?
di Rita Garlaschelli
Sempre più frequentemente in dibattiti e convegni , in assemblee sindacali , come sulle riviste specializzate, affiora un interrogativo che sembra attanagliare gli operatori della scuola, ma anche gli osservatori esterni, oggi: l’autonomia scolastica è fallita?
Le risposte che vengono date sono diverse, più o meno convinte, variamente motivate, tutte, però, in ogni caso pervase dal tarlo sottile di un’insoddisfazione strisciante che, nel nostro paese, prima o poi, diventa convinzione diffusa, anzi certezza assodata: sì, in effetti, quel cambiamento tanto annunciato, quell’innovazione tanto enfatizzata prima, si è trasformata in una realtà posticcia, in cui più nessuno crede (o, addirittura, in cui nessuno ha mai creduto), destinata a svuotarsi di senso e funzioni.
Volendo affrontare, invece, in modo meno umorale il problema, senza abbandonarsi all’onda lenta di risacca che sembra prevalere, viene da chiedersi innanzitutto se una riforma come quella dell’autonomia scolastica possa essere giudicata seriamente su un così breve arco temporale, in cui, tra l’altro, a livello di sistema paese, è avvenuto di tutto: cambi di maggioranze politiche, riforme e controriforme, alternanze di figure e ceti dirigenziali. Nel cambiamento generale alcuni elementi sono rimasti, comunque, costanti:
- l’oscillazione periodica, comune in entrambi gli schieramenti politici, tra spinte autonomistiche e rigurgiti di centralismo
- la fondamentale mancanza di volontà di investire nella ricerca e nell’istruzione, per scarsa fiducia, al di là delle parole, nel futuro del paese e nelle nuove generazioni
- la resistenza cronica di apparati e persone al cambiamento, nella convinzione, tutta italiana (e gattopardesca) , che tutto, in ogni caso, finirà per restare come prima.
Nella mia esperienza di Dirigente Scolastico, ho avuto modo di osservare le vicende della scuola da diversi punti di vista. Riflettendoci, mi sono convinta che sei anni di esperienza siano troppo pochi per emettere giudizi, tanto più che in questi anni iniziali per l’Autonomia Scolastica non ci sono stati percorsi in discesa, ma strade irte di ostacoli e difficoltà . Basti pensare, innanzitutto, alle modalità con cui, nel processo di dimensionamento, sono state “costruite” molte istituzioni scolastiche: quasi tracciando delle linee sulle mappe , come un tempo si faceva per i confini degli stati nati dal disfacimento degli imperi coloniali.
A tutti i livelli, inoltre, molte figure, anche in ruoli strategici, sono state costrette a costruirsi in tempi brevi nuove identità professionali, rispetto alle funzioni rivestite precedentemente: pensiamo agli ex provveditori, agli ispettori, ai presidi, al personale transitato dagli enti locali alla scuola …. Il tutto senza che l’Amministrazione abbia sostenuto i processi di cambiamento con piani di formazione veramente adeguati.
L’Autonomia scolastica, ancora dopo sei anni, è una realtà fragile, una piccola pianta minacciata indifferentemente da siccità (leggasi: mancanza di risorse) e inondazioni (di indicazioni e controindicazioni nazionali).
Sono, tuttavia, convinta che sia stata l’organizzazione (e la gestione) autonoma delle scuole a mettere in condizione un paese cronicamente “in ritardo” , di fronteggiare le emergenze sociali ed educative di questi anni: l’integrazione dei “diversi” (in che numero!!!), il disagio , la “caduta dei valori”, il consumismo sfrenato, la devianza, ecc. E senza aspettare ordinanze o direttive, ma inventando soluzioni, trovando, non si sa neppure come, risorse , facendo sistema con chiunque fosse disponibile a provarci.
Non tutte le scuole hanno risposto al meglio o si sono dimostrate all’altezza del compito? Beh, è difficile , come ci ha insegnato Romei, per delle organizzazioni “domestiche” muoversi nella giungla della complessità, ricca di possibilità, ma anche di rischi e di incertezze. Certamente, molte scuole autonome hanno funzionato bene, interpretando i bisogni formativi del loro territorio e dando loro risposte efficaci, creando un tessuto connettivo forte con altri Enti ed Agenzie. Altre “se la sono cavata discretamente”. Sono, tuttavia, ancora tutte lì , le nostre scuole, ad aspettare che a livello centrale si arrivi ad una definizione di standard e di un sistema di valutazione nazionale e, soprattutto, si mettano in atto seriamente gli interventi perequativi per le scuole e i territori più deboli e si favorisca il consolidamento di strutture di supporto agili e snelle, che facilitino i processi anziché rallentarli.
“Fate il vostro gioco, che le scuole stanno facendo e faranno il loro”, vorrei dire ai decisori, ai politici e agli amministratori, cui compete il diritto-dovere di lanciare le palline nella roulette, vale a dire di dettare le regole del sistema scuola, nazionale e/o regionale.
E invito quanti fra noi si lasciano, a volte, prendere dalla sfiducia a non scrivere la fine di una storia senza aver provato a viverla , nei suoi passaggi a vuoto, come nei suoi colpi di scena e nei suoi più avvincenti sviluppi. Anche perché è una favola bella, che ieri ci illuse e oggi ci sfida. Con buona pace del poeta, che ho un po’ contaminato.
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