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ScuolaOggi-.Quale tempo pieno difendiamo?

Quale tempo pieno difendiamo? In un recente spot televisivo della serie "la scuola cresce, proprio come te", l'ineffabile settore propaganda del MIUR ha pensato bene di inserire anche ...

05/04/2004
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ScuolaOggi

Quale tempo pieno difendiamo?
In un recente spot televisivo della serie "la scuola cresce, proprio come te", l'ineffabile settore propaganda del MIUR ha pensato bene di inserire anche il tempo pieno, naturalmente con il corredo di internet e inglese. Come se nulla fosse. Come se la questione del Tempo Pieno non fosse al centro di vivaci polemiche e proteste. Come se il tempo scuola di 40 ore riproposto dalla Moratti (27+3+10) fosse la stessa cosa del modello di Tempo Pieno consolidatosi in questi anni.
Uno degli "effetti paradossi" della Riforma Moratti è stato indubbiamente quello di aver dato origine ad una generale ripresa di interesse per la scuola, con le estese mobilitazioni di insegnanti e genitori di questi mesi, come non succedeva da tempo. Si è sviluppato nel paese un vasto movimento di opposizione e di dissenso nei confronti dei cambiamenti delineati dal Decreto attuativo (tempo scuola spezzettato, docente tutor, ecc.) e per la difesa, soprattutto nei grandi centri urbani, del modello di scuola esistente, vale a dire del tempo pieno così come riconfermato dalla legge di riforma della scuola elementare n.148/1990.

Ora, se è indubbio che le "innovazioni" prospettate dalla Riforma Moratti sollevano forti riserve e contrarietà occorre d'altra parte chiedersi, obiettivamente, se è giusta una battaglia di pura conservazione dello status quo. Veramente vale la pena di difendere il Tempo Pieno "in generale", evitando di guardare dentro e di vedere che cosa funziona e che cosa no in questo modello e nelle situazioni concrete? E' credibile trincerarsi dietro un semplice e indifferenziato "tutto va bene, madama la marchesa"?
Partiamo dalla constatazione che la scuola a Tempo Pieno oggi è una realtà estremamente variegata e complessa. Ci sono esperienze e realtà molto diverse nelle scuole e all'interno degli stessi istituti, non fosse altro che per un semplice dato statistico. A Milano il Tempo Pieno ha raggiunto attualmente proporzioni elevate: in città oltre il 90% delle classi di scuola elementare sono a T.P., in provincia oltre l'85%. Dati confermati e in ulteriore espansione nelle richieste per il prossimo anno scolastico. Questo è il modello di scuola che si è affermato in provincia di Milano, anche dopo la legge n.148/1990 che ha introdotto i moduli didattici e consentito la prosecuzione del Tempo Pieno in via "subordinata" (vedi art.8, comma 2, ricompreso nell'art.130, comma 2, del T.U. 297/1994 che ora, non a caso, viene abrogato dall'art.19 del Decreto L.vo n.59/2004).

E' chiaro che in questo contesto non si può più, da tempo, stabilire un'equazione, una coincidenza immediata e automatica tra Tempo Pieno e "innovazione didattica", com'era negli anni '70 e '80, quando lavorare nel T.P. era una "scelta" (si pensi all'istituto del "comando", attraverso il quale i docenti chiedevano volontariamente l'utilizzo in classi a T.P., considerate allora di fatto "sperimentali"). A tale scelta corrispondeva ovviamente una forte motivazione professionale, l'aspirazione a fare una scuola diversa, "alternativa" rispetto al modello imperante del Tempo Normale, della scuola del mattino (un insegnante, un'aula, una classe). Non solo, ma è il caso anche di ricordare che in quegli anni le attività di tempo pieno venivano autorizzate solo dopo l'approvazione, da parte degli Ispettori tecnici e quindi del Provveditore, del Progetto didattico-educativo presentato dalle scuole.

La situazione oggi è notevolmente diversa: il modello di scuola più diffuso, generalizzato, "normale" e non più sperimentale, adesso è appunto il tempo pieno.
La battaglia (assolutamente legittima, doverosa e irrinunciabile) di insegnanti, dirigenti scolastici e genitori per la difesa della scuola pubblica e del tempo pieno allora, se non vuole ridursi a battaglia "conservatrice", può rappresentare l'occasione per riaprire una riflessione, critica e propositiva, sul tempo pieno, per interrogarsi sulla sua effettiva "consistenza", sulla sua attualità e le sue prospettive.

Già diversi anni fa, al momento dell'entrata in vigore della legge 148/1990, alcuni docenti e dirigenti scolastici ci provarono. Con quel tentativo, avviato all'interno della cosiddetta "modularizzazione del tempo pieno" (come venne chiamata, con un orrendo neologismo) non si intendeva affatto, come da varie parti si sostenne, sopprimere il T.P. e sostituirlo con i moduli. Ancora oggi M.Corsi e P.Quartieri, in un articolo su Micromega n.2/2004, parlano di un "tentativo da parte delle forze politiche e sindacali di affossare il tempo pieno a vantaggio dell'organizzazione "a moduli". In quell'accezione si trattava piuttosto della proposta, accolta solo in alcuni Circoli didattici e comunque rimasta sostanzialmente minoritaria, di tornare allo spirito e alle esperienze del Tempo Pieno delle origini che, si dà il caso, nell'area milanese era "modulare" ante litteram (vedi Rho II Circolo di Silvano Federici, S.Erlembardo di Federico Niccoli ed altre esperienze storiche di T.P.). Per rendersene conto basta riscorrere le pagine di "Rho II Tempo Pieno" (ed. La Scuola), che costituì per anni un importante testo di riferimento.
Era e voleva essere insomma la riaffermazione del valore del gruppo docente, del "lavorare in team" (titolo eloquente di un altro testo del CIDI di quel periodo), del primato del "collettivo" sulla coppia docente ritenuta, a torto o a ragione, come la riproposizione del "tempo normale lungo", secondo la felice definizione di allora di Raffaele Iosa.

La cosiddetta modularizzazione del tempo pieno conobbe indubbiamente risultati diversi e discutibili, anche perché in vari casi applicata rigidamente o in maniera "forzata", intesa spesso in maniera burocratica, non "condivisa" e quindi destinata a rimanere "senza anima". Occorre anche dire che l'aspetto organizzativo finì spesso per prendere il sopravvento sui contenuti, sulla sostanza, dimenticando che le forme organizzative sono un mezzo e non il fine, una variabile importante ma secondaria. L'elemento primario resta il progetto educativo-didattico. Una volta definito e condiviso il "progetto di scuola", si tratta di capire quali sono le modalità organizzative più funzionali alla sua attuazione, prevedendo possibilità di soluzioni diverse. Non a caso, allora, nel vivo del dibattito, un pedagogista saggio e attento come Sergio Neri preferiva parlare di "didattica modulare", evitando di incagliarsi nelle secche di rigidi schemi organizzativi.
La riprova di tutto questo, a posteriori, sta nel fatto che ci sono in giro nelle scuole validissime esperienze di tempo pieno e di team teaching fondate sulla coppia docente come pure altre basate su un'organizzazione di tipo modulare.
In ogni caso, si perse forse l'occasione, da parte di tutti, per favorire un rinnovamento e una riqualificazione del Tempo Pieno, come laboratorio di innovazione didattica.

La questione del Tempo Pieno e di "quale" Tempo Pieno si ripropone oggi, nel contesto nuovo delineato dalla riforma Moratti. Su questo tema occorre misurarsi apertamente. Difendere il Tempo Pieno oggi è necessario, senz'altro, ma non sufficiente. Una pura e semplice difesa del Tempo Pieno "così com'è" rischia di essere una battaglia perdente, intrinsecamente debole sul piano culturale e pedagogico. E' noto a tutti (perché non dirlo a chiare lettere?) che nel T.P. ci sono non poche situazioni fragili o insostenibili. Basti pensare a come in alcuni casi vengono usate (o non usate) le "compresenze", al fatto che in diverse situazioni non si lavori più per "classi aperte", alla mancanza di una progettualità comune o di regole condivise fra i docenti contitolari, ecc. ecc.
Così come, d'altro lato, ci sono in vari Circoli o all'interno di una stessa scuola, esperienze assolutamente valide, progetti didattici di notevole spessore, gruppi docenti che lavorano con grande professionalità e che sanno motivare e coinvolgere gli alunni.

Come dice Federico Niccoli (v. Diario, speciale scuola, "Tempo Pieno, buona scuola") è il caso di "fare il tagliando" al Tempo Pieno, nel senso di verificare, valorizzare e rilanciare le "buone pratiche" insite in queste esperienze. Fare emergere gli aspetti di qualità del T.P e su questi attestarsi e "resistere". Questa, infatti, è oggi la vera "linea del Piave".
Le scuole esplicitino, nei loro P.O.F., quali sono i punti irrinunciabili e "qualificanti" della scuola a T.P., gli aspetti di organizzazione della didattica "forti", quello che fa la differenza tra le 40 ore intese come "quantità oraria" (che "resta la stessa", come dice il Min. Moratti) e le 40 ore intese come "qualità didattica".
Per il momento le 40 ore di tempo scuola sono "consentite": si tratta di capire allora se - nel quadro dell'autonomia scolastica, con le sue prerogative e ambiti di competenza - il modello è quello delineato dal Decreto Lvo 59, frammentario e segmentato, o quello della riproposta forte e autorevole di un progetto educativo unitario fondato sull'idea della contitolarità, della pari dignità professionale, della condivisione della conduzione educativa della classe. In altri termini sul "gruppo docente".

Difendere la scuola pubblica di qualità vuol dire allora - ribadiamo il concetto di fondo - non solo difendere il tempo scuola, la quantità oraria, ma sostenere e difendere la qualità del progetto educativo, del modello didattico-organizzativo.
Per questo Tempo Pieno vale la pena di spendersi, avvalendosi di tutti gli spazi che l'autonomia consente. Riapriamo allora un dibattito serio sul T.P., nella prospettiva di un suo rilancio e di un suo rinnovamento.
Diciamo, a questo proposito, che alcune posizioni, estremiste nella forma ma povere di argomentazioni nella sostanza (le posizioni emergenti in alcuni settori del movimento del "no sempre e comunque, senza se e senza ma!") non ci persuadono, perché non hanno solide gambe pedagogiche per contrastare efficacemente, in una lotta che non sarà né breve né facile, l'attacco al tempo pieno. Per usare una metafora non possiamo solo dire "il vostro presepe non ci piace" ma dobbiamo aggiungere come vorremmo allestirlo noi. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, ai temi dei percorsi di apprendimento (personalizzazione o individualizzazione?), del tempo passato a scuola (tempo della didattica, tempo degli alunni), dei laboratori didattici, delle funzioni tutoriali, ecc. Parliamone. Senza reticenze né tabù.

Dedalus


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