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ScuolaOggi: Per l'anno che verrà. Pensieri a perdere

Antonio Valentino

13/07/2007
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ScuolaOggi

Per l'anno che verrà. Pensieri a perdere

E' difficile rifuggire da ripetizioni parlando della nostra scuola.
E’ questo il rischio che corro deliberatamente parlandone a conclusione di un anno scolastico vissuto tra speranze e frustrazioni. Visto che, sotto il cielo degli scolastici, le novità che si avvertono sono poche e non sembrano per ora lasciare segni.
Doveva essere un anno ponte. Ma per le scuole superiori, se si fa eccezione dal provvedimento sugli esami di stato, certamente importante, la percezione diffusa è che i cambiamenti previsti, se pure ci saranno, non cambieranno niente o arriveranno tardi.

In principio.
Eppure tutti ormai convengono, tra lo smarrito e il desolato (per tenerci sul soft), che la nostra scuola superiore - ma anche la media - è ferma, nelle situazioni migliori, al palo degli anni '80. E che sono di gran lunga prevalenti (per quanto non unici, per fortuna) i segnali di arretratezza e iniquità.
Pensiamo alla rivoluzione di Internet e della globalizzazione e rileggiamoci i piani di lavoro di gran parte delle nostre scuole e gli obiettivi che vi si praticano.
Pensiamo, sul versante della professionalità docente, alla cultura orientativa e valutativa prevalente, per limitarci ad un elemento del profilo bisognoso di maggiore manutenzione. Cultura che è fattore non secondario di una mobilità sociale, che è la più bassa in Europa. Ed è, perciò stesso, causa di iniquità e disuguaglianze.

Nelle nostre scuole - ripetita …- continuano ad essere orientamenti-guida le equazioni: cattiva riuscita negli studi / istruzione o formazione professionale; buona riuscita / licei.
Cercare nella formazione dei docenti, nella cultura delle scuole e nelle politiche del nostro ministero, un qualche segno sui diversi tipi di intelligenza e stili di apprendimento dei nostri studenti, che è chiave di volta di ogni didattica individualizzata, è come ripetere l'operazione-uomo nella ricerca di Diogene.
E considerate se è cultura valutativa quella che troppo spesso finisce con lo scaricare sui percorsi successivi gli insuccessi dell'azione educativa dei cicli precedenti, che crea sospetti e relega a semplici optional gli interventi di cooperazione e coordinamento tra ordini di scuola.

Questi ragionamenti sulla cultura professionale conducono ad un altro pesante pilastro del nostro sistema con cui fare i conti, a partire dagli interventi sull'innalzamento dell'obbligo scolastico. E' il pilastro della ancora prevalente concezione accademica, astratta e frantumata della cultura scolastica. E proprio per questo arretrata e indigesta. E anche un po’ sconfortante. (L’esperienza degli esami di stato, quale che sia la tipologia, ne sono conferma.)
Una cultura che non riesce ancora a misurarsi in modo esteso e incisivo con l'universo delle competenze, e soprattutto delle competenze chiave, e con la filosofia dell'apprendimento in tutto l'arco della vita.

(E, a proposito dell'innalzamento dell'obbligo scolastico, si richiama tra parentesi e come pura curiosità, il fatto che, a tutt'oggi, il Regolamento e le Linee guida devono ancora essere emanate. Per cui ci si chiede, tra il divertito e il suo contrario, come faremo a partire l'anno prossimo, come pure dovremmo, con il nuovo Biennio di istruzione obbligatoria - con i suoi pur promettenti intrecci tra assi culturali e obiettivi trasversali nella determinazione delle competenze chiave -. Misteri gaudiosi)

Cercasi Susan disperatamente
Sulle politiche del personale, infine. Anche qui, si registra da più parti la necessità: a. di uscire dalle attuali politiche conservatrici che lasciano tutti insoddisfatti; b. di rendere concreta e significativa la valorizzazione del personale e il riconoscimento formale (economico e di carriera) delle figure di funzionamento, presidio e coordinamento delle scuole.
La scuola dell'autonomia ha bisogno di professionalità più esperte e ricche, anche su questi settori chiave della sua organizzazione. E' percezione diffusa.
Eppure tutto continua come prima.
Si ha quasi l'impressione che sia ancora roba da "vade retro" anche solo accennare al fatto che andrebbero probabilmente riprese, e ovviamente aggiornate, le politiche innovative di gestione del personale messe in campo con il CCNL 1995-98 (il contratto delle funzioni obiettivo e della valorizzazione del personale).
E questo perché il ricordo di una pagina non esaltante, per molti versi, della storia della nostra scuola (la contestazione massiccia di articolo - il famoso 29, gestito, tra l’altro, al peggio - che pure introduceva elementi di movimento nella carriera e nella responsabilizzazione del personale) sembra ancora pesare come un macigno sul destino delle nostre scuole. Nonostante si avvertano, a proposito di questi temi, orientamenti più maturi tra i docenti.
In ogni caso, anche qui, iniziativa urgente cercasi disperatamente.

Come pure sulle politiche di sviluppo professionale (o della formazione, tanto per intenderci): da declinare finalmente in termini di obbligo e in forme a un tempo funzionali e responsabilizzanti (dalla ricerca azione all'autoformazione sperimentata nei vari spazi del lavoro docente). E che permettano in ogni caso di superare – parlo almeno per molte Scuole Superiori - l'attuale modello didattico ancora fondato sostanzialmente su spiegazione e interrogazione.

A prescindere
Ancora due annotazioni per concludere.
La prima riguarda l'autonomia. Come condizione e risorsa. E obiettivo che non può esser lasciato alla buona volontà dei Dirigenti Scolastici. E che richiede politiche nazionali di promozione e sviluppo, oltre che di misure economiche facilitanti.
Cosa se ne fa dell'autonomia, costituzionalmente riconosciuta, una scuola elementare che, per acquistare macchina e carta per le fotocopie, deve organizzare feste di scuola a natale e in maggio, con tanto di lotteria interna e giochi a premi, offerti dai genitori o dai negozi della zona? (Queste cose succedono a Milano). O un Istituto Tecnico costretto a distribuire su tre docenti di lettere gli insegnamenti di italiano, storia e geografia nelle classi prime (le più bisognose, tra l’altro, di figure di riferimento anche in virtù dell’orario) e su due docenti, sempre di lettere, le materie di Letteratura (3 ore) e storia (2 ore) nel Triennio. E questo perché le cattedre vanno tutte saturate, indiscriminatamente e meccanicamente, a 18 ore. Sempre perché ci hanno dato l’autonomia.

La seconda riguarda il clima. Che o è di collaborazione e ascolto, tra scuole e ministero, o non si va da nessuna parte. Il che dovrebbe significare il coinvolgimento delle scuole sulle proposte messe a punto da commissioni ministeriali competenti e note. E permettere che su queste proposte nazionali le scuole, possano costruire scelte specifiche. In termini di traguardi e dispositivi organizzativi, di programmi di lavoro e piani di intervento distribuiti in un arco di tempo ragionevole e ben monitorati. O no?

Il Ministro ha lanciato, all'inizio di quest'anno scolastico che va a finire, un progetto finalizzato all'ascolto delle scuole. Non so che cosa né è stato. Ma non è il caso, quale che sia il presente e il futuro di questo progetto ministeriale, che gli si dia anche noi orecchie e voci? A prescindere? Come direbbe il Principe di Bisanzio Antonio De Curtis, in arte Totò.


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